2015/05/03: Piu che insegnare con le parole, insegnate con la vita

Arcivescovo Edoardo Menichelli

Arcivescovo Edoardo Menichelli


INCONTRO DIOCESANO DI PREGHIERA DEI CATECHISTI
Cattedrale di S. Ciriaco – ANCONA
All’interno dei contenuti di questo incontro di preghiera vorrei dire che ciò che ci è stato offerto, soprattutto la lettura frammentata del brano evangelico di Giovanni, possa essere considerato come il viaggio identitario del catechista e del discepolo del Signore Gesù, poiché l’esperienza di Maria di Magdala ci appartiene e per un certo senso ci fa sperare.
Permettete che faccia un’osservazione con una domanda: perché al sepolcro non ci va l’altra Maria, la Madre?
E’ strano, Maria e tutte le altre donne corrono al sepolcro, Maria la Madre, no, perché?
Perché Maria la Madre aveva già compiuto l’itinerario di Maria di Magdala, era già definita in se stessa: era discepola del Signore Gesù, Maria di Magdala va al sepolcro perché non era una vera discepola, Maria la Madre non va, perché il suo atto di fede è così forte che non sarebbe mai andata a vedere un sepolcro vuoto. Maria è la donna del Sabato Santo, la donna della speranza, la donna che crede che quel Figlio morto, per la misericordia e la salvezza di tutti, è vivo.
Maria di Magdala ci arriverà dopo, come del resto noi tutti.
Vi accompagno ora, brevemente, sottolineando alcuni verbi.
Il primo “piangere”.
Maria di Magdala piange, il suo pianto e lo spiega bene il commento del Cardinale Martini che abbiamo letto, Maria non ha più il suo amore, non ha più quella persona che l’aveva rispettata, che le aveva ridato dignità, è come se dentro di sé fosse morta qualche altra cosa.
Maria di Magdala non aveva ancora maturato il cammino della fede, aveva ascoltato, aveva ricevuto il dono della misericordia, era stata liberata dai demoni, ma non aveva oltrepassato l’aspetto egoistico dell’incontro con il Cristo: le mancava l’amore che  serviva, non gli mancava l’amore che doveva ricevere.
Anche noi piangiamo e il nostro pianto è questa continua diagnosi, questo continuo discernimento, continuo psicologismo che abbiamo messo nell’arte della vocazione del catechista.
Questo pianto è rivelatore che nell’essere catechista al centro metto me stesso: “non mi capiscono”, “non se ne può più”, “chi me lo fa fare”, “ma perché”, “non si vedono i risultati”, “fuggono tutti”, “è tempo sprecato”, “le famiglie non ci ascoltano”, “è tutto un pianto” tutto ciò, perché dobbiamo fare ancora il cammino giusto.
E’ simpatica l’espressione che Maria di Magdala dice: “hanno portato via il Signore e non so dove l’hanno posto”.
Il secondo verbo: “non sapeva”.
“Vede Gesù, ma non sapeva che fosse Gesù”, non sapeva, non aveva riconosciuto la Persona che le stava di fronte.
Spesso nella nostra fatica di catechisti è che noi diciamo cose nostre, non sempre si riesce a dire, perché non le sappiamo le cose vere, Lui.
Questo non sapere non significa essere ignoranti, non sapere vuol dire non essere entrati in profonda comunione con Lui.
E’ come se venisse a mancare la sostanza della comunicazione, è un po’ carissimi quello che si sperimenta ascoltando certe nostre prediche…(“che ci ha detto?”, “che cosa ha raccontato?”) spesso riceviamo tutti parole, consegniamo parole, perché non conosciamo Colui che dovremmo annunciare.
Questo non è un giudizio, ma una constatazione che non ci deve offendere, ma che piuttosto ci deve stimolare, incoraggiare a costruire quella intimità di cui Papa Francesco ha parlato nei commenti che abbiamo letto.
Il terzo verbo: “Chi cerchi?”, un altro verbo, piangi ma tu cerchi!
Questo è un altro elemento che spesso ci appartiene, sarebbe come a dire ma da questo ministero della catechesi tu che ti aspetti? Ti aspetti di convertire, grandi risultati?
Ma se ti aspetti questo, tu non hai capito che il tuo ministero non è ‘aziendale’, cioè, come direbbe Papa Francesco, non ha la creatività dei risultati, ma ha la creatività che parte dal convincimento che sulla forza della Parola di Dio e la sua grazia si deve muovere il cuore delle persone.
Su questo punto credo che tutti noi, a cominciare da me, occorre fare un grande cammino: che cosa voglio come Vescovo da questa diocesi? che cosa vuole un parroco dalla sua gente?
Finiamo per dirci, senza confessarlo apertamente, che vogliamo noi stessi come Maria di Magdala che voleva ritrovare il suo Signore perché la rendeva soddisfatta, la consolava.
Un altro aspetto sono i “nomi”.
Qui è Gesù che muove il cuore, forse anche Lui si è stancato di Maria Maddalena che fa sempre lamenti: “ … se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo” (Gv 20), qui c’è l’intervento stesso di Gesù, c’è questo dire il nome: “Maria” e c’è questa risposta con il titolo più bello: “Maestro”.
Maria risponde così e all’improvviso si scoprono, Maria ritrova non ciò che le piaceva, ma trova un altro aspetto della vita di Gesù, vorrebbe possederlo, prenderlo, ma viene costretta a intrecciare un altro tipo di rapporto.
Nel commento che si è letto di Papa Francesco c’è questo verbo che anche oggi nella liturgia domenicale ci è stato ripetuto: “rimanete!”
Quando due persone stanno in intimità, quando realizzano un coagulo di amore, non c’è bisogno che si dicano tante cose, il nome basta; Maria di Magdala avrebbe potuto dire: “Dove sei stato, che cosa ti è successo”, nulla di questo; nei due nomi c’è tutta la potenza dell’amore, c’è quello che io chiamerei l’onnipotenza misteriosa e consolante dell’amore: “Maria!” – “Maestro!”
A quel punto Gesù ha preso le redini della situazione e comincia a correggere Maria, la orienta: “Non ti devi fermare da me, devi andare a raccontare e il quarto verbo è “andò”.
La fede non è mai una consolazione intimistica, la fede è un dono da ridonare e dentro questo andare è necessario tener vivi due aspetti: il contenuto e il risultato.
Il contenuto: la propria esperienza “ho visto il Signore” , il risultato la libertà a Dio di cambiare il cuore delle persone.
Questo vorrei lasciarvelo come messaggio: più che insegnare con le parole, insegnate con la vita, oggi più che mai le persone capiscono i segni, le parole non arrivano quasi più e l’essenza di tutto il Vangelo sta tutto in quell’ “l’ho visto.”
Che cosa vogliamo noi spiegare di Gesù Cristo?
Riusciremo a spiegare a noi stessi il mistero dell’Incarnazione? La divinità e umanità presente in un’unica Persona?  Riusciremo a spiegare il mistero dell’Eucarestia del pane Persona vivente? Riusciremo a spiegare e a far capire la Misericordia?
Noi dobbiamo consegnare una storia che è avvenuta, consegnare una Persona!
Vi invito a non lamentarvi più, ma a pregare il Signore, nutritevi e innamoratevi di Lui, perché solo chi è innamorato fa cambiare la vita a qualcuno; chi non lo è … canta una canzone, ma più di quello non fa.
Questo, carissimi, sia il vostro essere catechisti del Signore.
Amen!
†  Edoardo Arcivescovo
(Il testo è stato trascritto direttamente dalla registrazione, senza revisioni da parte dell’autore ).