2016/12/31: Nella nostra vita non conta avere le cose ma allearci con Dio

Arcivescovo Edoardo Menichelli

Arcivescovo Edoardo Menichelli


VII giorno fra l’Ottava di Natale
(Nm 6, 22-27; Sal 66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21)
CHIESA CATTEDRALE S. CIRIACO
Sabato 31 Dicembre 2016
.Carissimi siamo qui per ringraziare il Signore e in questa circostanza spero di dirvi parole sagge e ricche di sapienza. Se però, per caso non ci riuscissi, e sarà così, usatemi  misericordia. Vorrei dirvi tre cose illuminate dalla fede.
La prima: in questa circostanza vorrei che eliminassimo due espressioni che per me risultano superficiali e alla luce della fede direi anche stupide. La prima espressione “finisce  l’anno” e la seconda: “sull’anno che è stato facciamo un bilancio”.
Certamente sono ovvie queste cose anche perché si cambia calendario però in queste due espressioni c’è solo l’uomo che fa i suoi conti e facendoli vuole tentare, anche se non lo pensa, di essere padrone del tempo e delle cose che lo abitano.
Cominciamo però a dirci la verità che è questa: non finisce nulla. Entriamo invece nel conteggio del tempo misurato sul nostro calendario storico, siamo nella cronologia, siamo nel nostro orologio. Non possiamo, seconda verità, fare bilanci quasi che la vita possa essere pensata come una sorta di azienda.
La domanda che personalmente possiamo farci è questa: “Ma io sono più buono di ieri?” è già difficile rispondere, allora vorrei che ci convincessimo di questa cosa che non finisce il tempo, finirà ma non sappiamo quando … semmai finisce il tempo dato ad ognuno.
C’è una definizione che usiamo spesso per il lavoro “il lavoro a tempo determinato”, ma dovremmo dire che la nostra vita è a tempo determinato.
Carissimi, vorrei che cominciassimo a pensare il tempo come proprietà di Dio, che ce lo dona e che ne fa dono a tutta la natura.
Quando parlo con i ragazzi chiedo che cosa ci vuole per vivere e sapete che cosa rispondono i vostri figlioli?
La prima cosa che dicono è che per vivere bisogna mangiare, perché li abbiamo abituati principalmente a pensare solo a questo.
Per evidenziare che sbagliano a pensare in quel modo, dico loro di immaginare una bella tavola con sopra le cose che solo la mamma sa fare e quando stanno per ‘sforchettare’, si presenta dietro ‘uno’ che ti tocca e ti dice “E’ finito il tempo!”, i ragazzi restano interdetti e mi guardano strani …
Il tempo è di Dio e ce lo dona per celebrare la vita, noi non siamo padroni del tempo!
Dentro questo tempo suo si incrociano la sua azione di Padre e la nostra azione collaborativa comune, dobbiamo mettere insieme queste due cose: il tempo suo, che è diventato anche mio, perché donato. Noi non possiamo vantare il possedere il tempo dobbiamo solo usare il tempo e dobbiamo assumere il “collaborare” con la partecipazione all’agire della Provvidenza.
La seconda cosa. E’ indispensabile sviluppare la gratitudine, perché se tutto è dono, se l’uomo non ha in sé l’onnipotenza del fare, del creare dal nulla, se non è capace di gestire il tempo che misura i giorni della sua vita, allora occorre convincersi che tutto è dono e se tutto è dono ognuno di noi deve dire grazie!
Da quanto tempo non dite più “grazie” a qualcuno? Da quanto tempo non dite più “grazie” a Dio?
Noi carissimi siamo più avvezzi al lamento e alla recriminazione e Dio diventa l’unico bersaglio del nostro agire non buono e da questo punto di vista siamo molto più simili ai nove lebbrosi guariti che non ringraziano e non assumiamo, come esempio da imitare, il lebbroso l’unico che ringrazia. Dobbiamo cominciare a dire “grazie” perché la gratitudine sembra una virtù sparita, perché sostituita dal  verbo “voglio”.
Se un vostro nipote dice “voglio questo!” non lo date, se vi dicono “per piacere” ci pensate, e se non vi dicono “grazie” lo riprendete.
La terza cosa. La chiamerei con parola difficile  “la prassi di nonna Ida”, che è poi la buona prassi delle vergare dell’entroterra marchigiano, di quelle donne abituate a piegare la schiena sulla madre terra. Mia nonna Ida era abituata a dire “va bene così”…..oppure quella frase evangelica “se Dio vuole” è la prassi teologica degli uccelli che non seminano e che, però, Dio nutre (Mt 6,26) oppure quella dei gigli dei campi che non filano e pure Salomone vestiti così belli non li ha mai avuti (Mt6, 28-29).
“Se Dio vuole”, Gesù ci invita a liberarci dagli affanni per il domani che possiede già inquietudini e ci suggerisce, almeno noi cristiani dobbiamo comprenderlo e viverlo, di abbandonarci a Dio.
Stiamo però attenti su queste scelte che non vogliono dire fa solo Lui ed io sto a braccia conserte, piuttosto significa che io faccio, ma faccio con Lui.
Tutto questo si chiama consegnarsi alla Provvidenza e vorrei chiedervi su questo da quanto tempo dai vostri sacerdoti non sentite più parlare della Provvidenza.
Tutte e due, la Madre di Dio e lo sposo Giuseppe, sono esempi lampanti di vera fede, perché si fidano di Dio; non capiscono sempre il mistero di Dio, ma si fidano di Lui e sono lieti nella provvisorietà e nella inquietudine dei giorni.
Essi sono custodi del Figlio di Dio e al figlio di Dio non sanno che cosa dare, addirittura lo devono portare lontano dalla propria terra perché altrimenti lo avrebbero ucciso.
Il problema vero nella nostra vita, per stare tranquilli, non è di avere le cose che ci inquietano sempre, ma quello di allearci con Dio.
Questo è il grande tema della vita e la grande vera qualità della fede.
†  Edoardo Arcivescovo
(Il testo dell’omelia è stato trascritto direttamente dalla registrazione, senza revisioni da parte dell’autore)