2017/04/26 – Interventi dell' Arcivescovo Menichelli al funerale di Michele Scarponi

Il nostro Arcivescovo prima di iniziare la cerimonia funebre ha detto: “Prima di iniziare questa Santa Celebrazione Eucaristica con la quale consegniamo a Dio Padre di Misericordia, misterioso nella sua volontà, il nostro fratello e Suo figlio Michele, vorrei chiedervi di assumere tutti un atteggiamento di preghiera. Una preghiera di suffragio per Michele. Vorrei anche, che tutti noi pregassimo per il dono della consolazione per i genitori di Michele, per la sposa, per i figli, per i fratelli, per gli amici, per questa comunità di Filottrano.
“Abbiamo bisogno di consolazione, abbiamo bisogno di una pacificazione e vorrei chiedervi anche, e spero che ognuno vorrà comprendere questo, di pregare anche per chi porta nel cuore il dolore per un fatto che ha drammaticamente segnato la vita di Michele e della sua famiglia; credo che dobbiamo pregare anche per questo perché tutto alla fine sia bene per tutti”.
“Vi chiedo misericordia. – ha detto iniziando l’omelia l’Arcivescovo. – Avevo pensato di tacere, perché credo che il mistero della morte, l’inquietudine che essa provoca richieda una sorta di adorazione silenziosa. Poi, vi confesserò, avevo cominciato a scrivere qualche idea, ma sono stato costretto a stracciare ogni foglietto che avevo scritto. Vi chiedo misericordia e soprattutto la chiedo agli intimi di MIchele, a sua moglie, ai suoi figli, ai suoi genitori, ai suoi fratelli.
Ho chiesto al buon Dio di aiutarmi a dire qualcosa di utile. Faccio molta fatica perché siamo di fronte a qualcosa che ha sconvolto la vita di famiglie, la vita di amicizia, la vita dello sport, la vita di questa ridente cittadina.
Poi in forza della fede che ho, ho aperto questa pagina del Vangelo e mi è sembrata la pagina più utile, sulla quale io potevo tratteggiare, posso tratteggiare qualche piccolo pensiero. (La pagina di Vangelo letta dal vicario generale della diocesi, già parroco di Filottrano mons. Roberto Peccetti è quella della Resurrezione di Lazzaro).
Ci proverò!
Ognuno di voi abbia l’apertura del cuore ad accogliere prima la parola di Dio e poi la mia parola, non come una sorta di violenza al privato domicilio, all’intimo domicilio, quanto piuttosto un ragionare di un pregare, un soffrire.
Di fronte a questo brano del Vangelo mi sono venute tre idee.
La prima è questa: il diritto al lamento e al pianto. Le sorelle di Lazzaro interrogano Gesù e dicono: <<Gesù dov’eri tu? Se tu fossi stato qui tutto questo non sarebbe successo>>.
Secondo pensiero che cercherò di offrirvi è la speranza. Anticipo questa idea che dobbiamo tutti portare nel cuore: credenti, non credenti, per nulla credenti. La morte non è l’ultima parola della storia dell’uomo, sarebbe un oltraggio alla dignità dell’umano
Terzo pensiero: la memoria.
Provo a dire qualcosa sul lamento e sul pianto. La morte, carissimi, è una grande nemica che ha molti alleati, la morte ci offende, non ci chiede permesso, non diventiamo per nulla abituali ad essa. È il grande schiaffo che noi sopportiamo con più violenza, e di fronte a questo l’interrogativo è sempre quello, inquietante, pesante, misterioso, senza risposta.
Perché? Il perché non c’è!
Perché, carissimi vi prego, per nessuno di noi al mondo c’è il tempo utile per morire, non c’è una giornata adatta, utile, accoglibile per morire. Non c’è! Essa, la morte, ci appartiene, fa parte della storia nostra, è l’emblema più alto della nostra fragilità, della nostra pochezza, della nostra non onnipotenza; fatemi dire di più della nostra incapacità di essere i padroni e i gestori della vita. Allora se questa realtà c’è, purtroppo frutto di un disordine, essa non potrà mai fare mai pace con noi, bisogna che in qualche modo io Edoardo, io Vescovo mi abitui ad incontrarla, mi abitui a pensarla. Questo, ripeto non perché è amabile. No! Essa è nemica, ma essa determina il tempo; è misura del mio tempo.
Signore perché non eri qui?
Su questo punto carissimi, non faccio fatica a consegnarvi la mia esperienza di uomo, di uomo arrabbiato con Dio e di uomo, poi scelto di Dio. Io ragazzo di 11 anni perdo mio padre e mia madre. Mia madre 28 anni, papà 35 con una sorella di quattro anni ed un’altra di 6 giorni. Perche? Me lo domando da 67 anni e Lui non mi ha mai risposto. Questo perché aveva inquietato molto la mia vita: poi vedete cosa mi è successo. Da possibile nemico di Dio a suo pastore, a suo servo. Questo per dirvi che dobbiamo fare i conti con questa realtà, e aggiungo, a quel tempo mia nonna aveva poco più di 56 anni e diceva: <<Perché Signore non hai preso me, invece di mia figlia che ha tre figli>>. Poi la nonna è arrivata a 97 anni. Andai a trovarla e mi disse: <<Perché sei venuto?>> Le dissi:” Nonna, forse siamo arrivati”… E lei subito affermò: <<Non si può aspettare un altro po’?…>>.
Non c’è mai un tempo. Allora noi abbiamo il diritto di piangere, di lamentarci, ma soprattutto abbiamo il dovere personale di non pensare che la vita è onnipotente.
Tutto questo ci indurrebbe al pessimismo, alla negazione di ogni sguardo lontano.
No, qui c’è la seconda parola carissimi ed è il senso della nostra preghiera, era il senso anche della fede di Michele, della sua famiglia, della sua formazione, di questa tradizione cittadina.
<<Chi crede in me vivrà>>. (Gv. 1,25)
Per noi e per tutti la morte è la penultima parola. Se fosse l’ultima sarebbe per tutti una grande tragedia, non varrebbe amare, non varrebbe essere padre, essere madre, essere figlio, perché tutto sarebbe azzerato, morirebbe l’anima, il mio pensare, il mio soffrire, morirebbe tutto.
Carissimi non è così! Io non posso obbligare nessuno di voi a credere, perché nessuno di noi ha la misura o il diritto di misurare la fede dell’altro, ma la sconfitta della storia che noi abbiamo celebrato in questi giorni è Pasqua. Il sepolto cammina, tutto ciò che è tolto ai nostri occhi, al nostro abbraccio, al nostro sguardo ha in sé l’immortalità dell’anima e il desiderio di ritrovarsi.
Io non posso dire altro su questo punto perché comprendo il dolore personale intimo di voi, soprattutto, ripeto, dei familiari, ma vorrei dirvi: sappiate come io ho sperimentato nella mia vita, che Michele non si allontanerà mai, minimamente. Ciò che ci unisce non è la carne. La carne ci unisce nella debolezza . Ciò che ci unisce è lo Spirito, e questo privilegio dell’umano di essere portatori dello Spirito.
Lo Spirito ci fa sempre compagnia; si fa tenerezza, si fa abbraccio, si fa misericordia, si fa ricordo, si fa memoria, si fa preghiera.
E chiudo con la terza parola: la memoria.
Ho ascoltato molto in questi giorni, ho visto. So quanto tutti voi avete sofferto e soffrite per questo, come anch’io ho sofferto. Adesso ci resta un obbligo, l’obbligo della memoria. La memoria di ciò che questo figlio era ed è. Faccio fatica a fare l’elenco delle memorie, ma custodire la memoria di un figlio bravo, buono e generoso, impegnato, semplice; custodire la memoria di un uomo che ho amato e che amo, che ha fatto parte della mia vocazione all’amore, ne custodisco l’intimità, ne custodisco lo sguardo, la carezza, la tenerezza, custodisco la preoccupazione per me, per i miei figli, custodisco il ricordo di un figlio di questa cittadina, di gente semplice laboriosa, radicata nella terra, impregnata di spiritualità
A me pare che Michele per questa cittadina, per questa piccola realtà debba rimanere un patrimonio, un patrimonio per tutte le qualità umane di cui avete avuto esperienza e che appartengono alla storia di questa cittadina, la memoria dell’amicizia, vorrei anche dire la memoria della fatica. Nei pochi incontri che ho avuto con lui in questi anni, una volta mi confidò la fatica che il ciclismo richiede, ed io sono convinto che lo sport, il ciclismo, sia lo sport più faticoso: la macchina cammina con le gambe e tutto questo non avviene a caso, tutto questo avviene nella memoria del sacrificio, della collaborazione, dell’essere squadra, dell’aiutarsi non del primeggiare per essere il primo, ma nel primeggiare per essere compagno, squadra, amico e qui c’è una scuola di vita. Siamo nella storia, di soggettivismo esasperato dove ognuno pensa per sé. Io credo che sport come squadra, del ciclismo come fatica sia un’altra memoria da custodire. Altre cose vivono nel mio cuore, le affido allo spirito di Dio perché accolga Michele nella Sua Casa lo riconosca come figlio buono e doni a lui tutta la Misericordia di cui Michele come tutti noi ha bisogno. Amen”.