Il Cantico dei Cantici al centro della XXXI Giornata per la conoscenza dell’Ebraismo

«Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma del Signore. Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio» (Ct 8,6-7). Il Cantico dei Cantici è stato al centro della XXXI Giornata per la conoscenza dell’Ebraismo, indetta dalla Cei, e lunedì 13 gennaio nella Facoltà di Economia di Ancona, l’Arcivescovo Angelo Spina e il Ministro di culto della Comunità ebraica di Ancona Nahmiel Ahronee hanno approfondito questo testo della Bibbia.

In questi ultimi anni per la Giornata di approfondimento del dialogo tra ebrei e cristiani cattolici sul tavolo dell’amicizia e della fraternità sono stati aperti alcuni rotoli delle Meghillot: nel 2017 è stata la volta del rotolo di Rut, nel 2018 quello delle Lamentazioni, nel 2019 il rotolo di Ester, nel 2020 quello del Cantico dei Cantici. L’incontro vissuto nella facoltà di Economia è stato, dunque, un’ulteriore occasione di riflessione e confronto, a cui hanno partecipato anche don Valter Pierini, direttore dell’Ufficio per l’Ecumenismo, Daniele Tagliacozzo, consigliere della comunità ebraica di Ancona, Giacomo Binnella, presidente dell’Amicizia ebraico-cristiana di Ancona, Francesco Maria Chelli, delegato del Rettore per le relazioni con il territorio, Paolo Marasca, assessore alla Cultura del comune di Ancona.

« L’amore vuole novità – ha detto l’Arcivescovo Angelo Spina – ma anche stabilità. L’amore ha bisogno del per-sempre. Mai come oggi il per-sempre fa paura. Cresce il timore di non reggere al per-sempre, come se il per-sempre si possa trasformare nella tomba dell’amore.  Mentre l’innamoramento è un tempo magico, un continuo batticuore che trapassa tutti i pori della pelle, degli occhi e della voce, il matrimonio per molti appare piuttosto connotato di logorante monotonia. E dunque, perché amare per sempre? Tra il bisogno e la paura del per-sempre ecco la strategia del Dio della Bibbia che è decisamente innovativa: prima si sposa, poi si fidanza. Prima assicura il per-sempre (con l’alleanza eterna) e poi non si stanca di corteggiare l’amata, di parlare al suo cuore, di sedurla come incurabile innamorato. È ciò che traspare dal libro del profeta Osea che per primo, nell’ottavo secolo avanti Cristo, descrive la relazione di Dio con il suo popolo in chiave sponsale. Dio non si rassegna al naufragio dell’amore. Dispiega tutte le strategie pur di salvare la relazione di amore, dispiega creatività e fantasia, tenerezza e gelosia, lamento e seduzione. Il per-sempre di Dio, l’eternità del suo amore lo leggiamo in Geremia (3,13): “Ti ho amato di amore eterno”, e questo è sorgente di inesauribile gioia e creatività, di tenerezza, di desiderio e intimità.

IL Cantico dei Cantici, che dell’amore è poema drammatico per eccellenza, ci guida e ci fa entrare nel paradosso di un Dio che prima sposa e poi fidanza. Dentro la stabilitas, la novitas. Perché l’amore non degeneri in routine, non perda di grinta nella vita quotidiana, non si vesta di noia e di monotonia, non si appesantisca, ma rinnovi passione e giovinezza come canta il salmista: “E tu rinnovi come aquila la tua giovinezza” (Sl 103,5). Il Cantico dei Cantici è fatto di solo 1250 parole ebraiche, intitolate con una espressione superlativa Shir Hashirim “Cantico dei Cantici”, cioè il “Cantico” per eccellenza, il Canto sublime e perfetto. Canta l’amore nella sua freschezza sorgiva e nelle infinite sue declinazioni, dalla trepidazione all’attesa, dall’incontro all’incanto, dalla seduzione alla contemplazione, dalla lontananza alla vicinanza, dal buio alla luce. Include solitudine, assenza, paura, senso di abbandono, sconcerto, silenzio. In tutto il testo c’è anche il silenzio del nome stesso di Dio. Soltanto una discreta allusione alla fine, dove l’amore è detto “fiamma di Yah” (Ct 8,6), cifra misteriosa del nome Yahweh, che risuona dal roveto ardente (Es 3,14). Il Cantico è come una grande parabola. Mette in scena la storia di un amore travagliato per raccontare un’altra storia: la tua, la mia, quella di Israele e della Chiesa, e in fondo quella di tutti. Il Cantico dei cantici in definitiva ci fa capire meglio che il gioco dell’amore non l’ha inventato l’uomo, ma lo ha imparato da Dio».

«Il Cantico dei Cantici è un’allegoria – ha detto Nahmiel Ahronee – e dà un messaggio sull’importanza dell’amore che è universale. L’importanza di questo testo d’amore è legata al fatto che ci offre una chiave di lettura della Bibbia. Innanzitutto è un canto e il canto è il modo con cui tutte le creature esprimono lode e ringraziamento al Signore. È considerato anche il canto dei canti, il libro più sacro di tutti i libri sacri. Uno dei più grandi filosofi rabbini del Medioevo diceva: “Tu non puoi conoscere l’amore verso Dio, se non conosci prima l’amore verso il prossimo, verso un essere umano”, sennò tutto diventa una cosa astratta. Ciò significa che il primo piano è l’amore verso il prossimo, poi conoscendo l’intensità di questo amore si passa all’amore verso Dio e, come dice il testo, forte come la morte è l’amore. Moltissimi martiri hanno testimoniato l’amore verso Dio, dando la loro vita. L’amore di Dio non cesserà mai. Nonostante i nostri sbagli, c’è sempre Dio che ci aspetta».

Di seguito la relazione integrale dell’Arcivescovo Angelo Spina, in occasione della XXXI Giornata per la conoscenza dell’Ebraismo, indetta dalla Cei

Relazione Cantico dei Cantici – 13 gennaio 2020 – facoltà di economia Ancona

 

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