Pastorale della Salute: incontro su “Malattia, solitudine, speranza. L‘uomo vive come relazione”

Nel pieno dell’emergenza Coronavirus, molti hanno fatto i conti con la malattia e la solitudine ed è necessario riscoprire l’importanza delle relazioni e della speranza, per farsi prossimi e donare il tempo agli altri. Su questo è stato incentrato l’incontro organizzato dall’Ufficio diocesano per la Pastorale della Salute, martedì 6 ottobre, nella Parrocchia SS. Cosma e Damiano di Ancona, dal titolo: “Malattia, solitudine, speranza. L’esperienza della solitudine: l‘uomo vive come relazione o non vive”.

«I malati di covid vivono il dramma nel dramma. Oltre alla malattia e alla sofferenza – ha detto Simone Pizzi, medico e direttore dell’Ufficio per la Pastorale della Salute – sono anche isolati e si sentono soli, perché lontani dai loro cari. Nessuno di noi può dimenticare gli occhi dei pazienti che, nel pieno dell’emergenza, chiedevano conforto e presenza. Questo tempo ha insegnato molto agli operatori sanitari. Abbiamo capito cosa significa lavorare insieme fianco a fianco, non solo stimandoci e rispettandoci come professionisti, ma soprattutto come esseri umani, parte di un sistema che aveva l’impegno di curare e far sentire la vicinanza alle persone malate».

L’introduzione è stata affidata a Michele Caporossi, direttore generale dell’Azienda Ospedali Riuniti di Ancona (AOUOORR), che ha sottolineato come «la pandemia è stata ed è un’occasione per ripensarsi e ripensarci come strutture sanitarie e come sistema di protezione sociale, ma anche per riflettere sui rapporti tra le persone. Se non ci fosse stata la spinta solidale degli operatori sanitari non avremmo potuto affrontare una malattia che non si conosceva. C’è stata anche una grande speranza e credo che il tema della medicina insieme alla speranza sconfiggano la solitudine».

«Noi medici ci siamo preoccupati di mantenere i livelli assistenziali come erano prima del lockdown – ha detto il dott. Andrea Ortenzi, medico neurologo e presidente Amci (sez. Ancona) – e allo stesso tempo abbiamo sviluppato una dualità di relazione più assidua, utilizzando la telemedicina che ci permette di rimanere vicini ai pazienti. Con la pandemia, le certezze e ciò che ritenevamo scontato, come la relazione dal vivo, si sono rivelati precari e ci siamo dovuti mettere in discussione. Come medici cattolici, però, il nostro impegno è mirato non solo alla cura del corpo e dobbiamo avere un’attenzione particolare anche allo spirito».

Due le relazioni durante la serata. La dott.ssa Oriana Papa, PhD psicologa – psicoterapeuta, responsabile SOS Psicologia Ospedaliera AOUOORR, ha parlato del «servizio aperto il 19 marzo per il sostegno psicologico alle famiglie dei pazienti, ai malati e agli operatori sanitari. Sono arrivate moltissime telefonate di persone che avevano perso i propri cari, che non sapevano dove erano ricoverati, ma anche di infermieri e malati che volevano avere dei colloqui ed essere sostenuti. È stata un’esperienza positiva, un modo per essere vicina a queste persone che erano in prima linea».

La prof.ssa Donatella Pagliacci, docente di filosofia morale presso il Dipartimento di studi umanistici dell’Università di Macerata, ha invece tenuto una relazione su “Lo sguardo di cura. Prossimità e distanza di fronte alla sofferenza propria e altrui”. «Abbiamo vissuto tutti un periodo di distanziamento, – ha detto – però forse dovremmo riappropriarci della capacità di stare a distanza in una relazione di prossimità, che sia capace cioè di posare lo sguardo sulle ferite dell’altro nel segno del rispetto, della compassione, della consolazione e della speranza. È importante farsi prossimi senza invadere, soccorrere senza sostituirsi all’altro. È necessario avere uno sguardo di accoglienza e di cura, capace di sostenere e di dare soccorso all’altro con un’amorevole benevolenza e con un profondo senso di rispetto».

Le conclusioni sono state affidate a Mons. Angelo Spina, arcivescovo metropolita di Ancona-Osimo che, facendo riferimento alla parabola del buon samaritano, ha sottolineato quanto sia importante «donare il tempo agli altri». «Noi viviamo nel tempo – ha detto l’Arcivescovo – ma cos’è questo tempo? C’è il kronos che è il tempo che passa, ma c’è anche un tempo che è kairos, qualcosa che accade e che ti segna. Questo nostro tempo segnato dalla pandemia, come possiamo viverlo? Oltre all’isolamento legato al covid, credo ci sia una pandemia peggiore: la cultura dell’io e dell’individualismo, quando ognuno dedica il tempo tutto a se stesso. Bisogna invece passare dalla cultura dell’io a quella del noi, che è la cultura delle relazioni. Noi di fronte alla sofferenza volgiamo lo sguardo dall’altra parte o facciamo come il samaritano che si ferma e soccorre l’uomo aggredito dai briganti? Oggi siamo tutti di fretta, ma la cosa davvero importante è dare il tempo agli altri. L’amore segna il tempo e te lo fa vivere come eternità».

 

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