Quaresima – Seconda Lectio Divina di Mons. Angelo Spina

In memoria di Me 1Cor 11,17-34

Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio. Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova. Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!

Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; quando poi siamo giudicati dal Signore, siamo da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo. Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri. 34 E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta.

 

Lectio

Questo testo lo possiamo dividere in tre parti: la denuncia delle divisioni, il richiamo alla tradizione della cena del Signore, l’esortazione a celebrare la cena in un modo degno.

E’ necessaria una premessa per capire meglio il testo. Secondo l’uso del tempo, la celebrazione eucaristica iniziava con un banchetto fraterno che formava un tutt’uno con il ricordo dell’ultima Cena di Gesù. In esso si consumava il cibo portato dai membri della comunità in base alle loro possibilità. A Corinto capitava, invece, che i credenti più benestanti, i quali maggiormente contribuivano al pasto comune, giungessero in anticipo, portando con sé il loro cibo, e lo consumassero tra loro. Inoltre i benpensanti occupavano la sala principale della Cena, lasciando agli altri i posti esterni. In tal modo i più poveri, e in particolare gli schiavi, che a causa del loro lavoro giungevano solitamente in ritardo e per di più portavano con sé poco o nulla da mettere in comune, non trovavano niente da mangiare e, rimanendo all’esterno, dovevano accontentarsi di partecipare solo al momento rituale della celebrazione. Ciò creava chiaramente nella comunità una spaccatura in base alle diverse possibilità economiche dei suoi membri. Paolo segnala questa situazione e avverte che, così facendo, i corinzi in realtà non mangiano più la Cena del Signore e gettano il disprezzo sulla Chiesa di Dio.

Paolo vuole così dire che dove non c’è comunione solidale non può esserci la cena del Signore. Paolo parte da questa situazione così difficile per cogliere un aspetto positivo: l’agape e la Cena del Signore possono diventare occasione opportuna per vedere tra i corinzi chi è veramente un credente in Cristo e chi non lo è. I fedeli che non cadranno in atteggiamenti discriminatori, anzi che vi si opporranno con fermezza, saranno cristiani autentici. Quelli invece che continueranno ad accentuare le divisioni nell’ambito della comunità, dimostreranno di essere immaturi nella vita spirituale.

Il modo migliore per aiutare i corinzi a vivere in concreto la carità è portarli a fare un confronto tra la loro situazione e il significato originario della Cena del Signore, come allora veniva chiamata la S. Messa.

La questione di fondo è  come viviamo la liturgia che è fonte e culmine della vita cristiana.

Paolo sottolinea che: “Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. 21 Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere?”. Paolo fa subito capire che riunirsi per celebrare l’eucaristia non è un fatto sociale, non è un banchetto per sé. Riunirsi innanzitutto è essere chiesa, e la parola chiesa deriva da  ekklesìa, cioè assemblea, nel senso che è Dio che convoca. La chiesa non è un luogo, ma un movimento, una convocazione e il popolo risponde in modo dinamico. Vivere allora è rispondere alla chiamata. La chiesa sa ascolta il Vangelo e risponde con la vita. La chiesa non è l’incontro tra cittadini semplicemente, ma l’incontro di coloro che si riuniscono per celebrare i misteri con la diversità dei doni, dei carismi.  Di fronte alle divisioni allora Paolo mostra come l’eucaristia è vincolo di unità.

Nei versetti 23-26 si riporta la tradizione cultuale della Cena del Signore dove Paolo dice: “Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso”,  fa appello al peso della sua autorità per contrapporsi all’atteggiamento riprovevole dei Corinzi e correggerli. Siamo di fronte ad uno dei brani più antichi e preziosi provenienti dalla prima comunità cristiana, possiamo dire  il kerigma eucaristico. Paolo riporta i gesti e le parole dell’ultima cena di Gesù: “il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24 e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. 25 Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. 26 Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”.

L’importanza di questa testimonianza consiste nell’affermare il dono dell’Eucaristia e del ministero a essa ordinato. La libera scelta di donarsi da parte di Gesù (Fil 2,6-11, pur essendo di natura divina….) si declina nella realtà sacramentale del pane e del calice del vino per la salvezza dell’umanità “dato per voi” va inteso non di sostituzione a noi ma come a nostro favore. La morte cruenta sulla croce rappresenta il compimento pasquale delle parole sul pane e sul calice, che rendono presente in corpo, sangue, anima e divinità il nostro Signore, crocifisso e risorto. Paolo rammenta ai corinti questo gesto supremo di amore del Signore, perché convinto che essi avrebbero potuto riscoprire il significato profondo dell’imperativo di Gesù, ripetuto ben due volte: “Fate questo in memoria di me”. Questo comando va inteso nel senso di continuare a ripetere, lungo il cammino storico, la celebrazione eucaristica e a vivere “in sua memoria”, vale a dire come Gesù all’insegna dell’amore verso Dio e verso il prossimo. E’ significativo che Paolo sottolinea queste parole: “Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”. Voi annunciate la morte del Signore e non annuncerete, ma già annunciate, cioè sarà con la vita e non solo con le parole che i corinzi dovranno annunciare il mistero della morte e risurrezione di Cristo, nell’attesa e nella speranza della sua venuta gloriosa alla fine dei tempi.

Al termine Paolo ammonisce i corinti  con queste parole: “perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna”. Qui Paolo mette l’accento che il giudizio non è una valutazione socio-economica, ma è quella che Cristo fa. I corinti escludendo i nullatenenti, i poveri, vanificano il valore stesso dell’oblazione eucaristica e la presenza di Cristo morto e risorto.  Così viene ribadito l’appello a che ogni persona esamini se stesso circa la propria prassi conviviale prima di accedere al pane e al calice, infatti chi mangia e beve senza “riconoscere”  il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. La comunione con il Signore stabilisce pure la comunione reciproca dei credenti  e di conseguenza la cena rappresenta la realizzazione della comunità. Non si può essere uniti al Signore e divisi nella comunità.

Nell’Eucaristia noi incontriamo la cosa più importante di Gesù cioè il dono totale per noi, il suo spezzarsi per noi, il suo morire per noi. Facciamo esperienza di un amore che si dona a noi completamente e non c’è cosa più suprema, “non c’è un amore più grande – dice Gesù nel Vangelo – di chi dà la vita per gli amici” di chi è disposto a morire per qualcuno.

Nell’Eucaristia noi incontriamo Lui che è disposto a morire per me, per te, per noi. Come fa questa consapevolezza a non cambiarci quando effettivamente ci raggiunge? Come fa a non trasformare la nostra vita? Ma se ciò accade, è per mancanza di fede, perché noi non crediamo fino in fondo. E’ come quando qualcuno ti viene incontro offrendoti la propria mano e tu pensi: 2non ce l’ha con me…” così ti giri dall’altra parte. A volte diciamo: “Sono andato a messa e non è cambiato niente”; ma questo non perché Gesù non era realmente presente e perché io non avevo la fede necessaria per accorgermene. I sacramenti senza la fede non servono, sono uno spreco. E’ come stare davanti a una fontana dove sgorga l’acqua e uno non porge le proprie mani per raccoglierla. Quell’acqua è acqua, è fresca, disseta le persone, ma serve che tu allunghi le mani in una posizione particolare per raccoglierla e berla. Dobbiamo domandarci perché l’Eucaristia non cambia la nostra vita. Forse perché non c’è Cristo? No. Siamo noi a non essere presenti lì. Non dobbiamo mettere in discussione la presenza reale di Lui, dobbiamo mettere in discussione la nostra presenza reale davanti a Lui.

L’Eucaristia insegna a guardare il corpo del Signore, il corpo della sua Chiesa a guardare la profondità della tua vita se è una vita nuova in Cristo.

  1. L’Eucaristia è fonte e culmine della mia vita di cristiano? Quale posto riveste oggi nella mia vita?
  2. L’invito a unirsi nella comunione eucaristica implica la piena condivisione dei valori spirituali e l’impegno nel saper accogliere i fratelli nel dinamismo della riconciliazione e dell’unità?

 

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