Terzo ritiro del clero con Mons. Bulgarelli: «La catechesi deve mettere al centro la persona»

«Bisogna passare da una pastorale preoccupata dei programmi e delle strutture a una pastorale attenta alle persone, nella concretezza della loro quotidianità, per favorire sempre più l’incontro tra l’uomo e Dio. La catechesi deve quindi ripartire dall’ascolto e avere uno sguardo più attento alla realtà, ai bisogni e alle domande delle persone». Queste le parole di Mons. Valentino Bulgarelli, direttore dell’Ufficio catechistico nazionale, durante il terzo ritiro online del clero, dedicato al nuovo Direttorio per la catechesi. In particolare, in questo terzo incontro sul Direttorio, Mons. Bulgarelli ha individuato alcune piste concrete, per ripensare l’azione catechistica e, quindi, per generare percorsi nuovi di catechesi. «Il Direttorio per la catechesi tratteggia l’evangelizzazione e la catechesi – ha spiegato – in riferimento a tre piste da praticare: innanzitutto il Direttorio chiede una concretizzazione del primo annuncio (l’importanza di calare nel contesto attuale la buona notizia della morte e resurrezione di Cristo); il kerigma e l’inculturazione della fede e qui dobbiamo aggiornare le nostre istanze (come pensano e vivono gli uomini e le donne di oggi); il kerigma, la narrazione e la via della bellezza».

Cosa significa proporre oggi percorsi di evangelizzazione e catechesi? «Credo che la prima grande suggestione che il Direttorio ci offre – ha detto – sia quella di immaginare con creatività nuove narrazioni della proposta cristiana. Il Nuovo Testamento ci dà testimonianza della prima comunità cristiana con modelli di evangelizzazione diversi, non univoci e omologati, per cui l’evangelizzazione a Gerusalemme funziona in un certo modo, mentre Paolo ad Atene in un altro modo. A livello di Chiesa locale che pensa e progetta, credo che questa sia una prima istanza importante: non serve un modello omologato, ma modelli che rispettino le persone. Noi veniamo da una stagione dove il progetto catechistico italiano ha generato un modello omologante, con un impianto scolastico. Non è il modello che non funziona, ma è cambiata la realtà e di questo dobbiamo rendercene conto. Questo modello ha generato degli schemi fissi, come ad esempio le classi di catechismo. Ora per riuscire a superare questa prospettiva, il Direttorio ci suggerisce di rimettere al centro il kerigma e di attivarci per immaginare nuove comunicazioni relative al kerigma. Bisogna passare da una catechesi scolastica a una catechesi esperienziale, kerigmatica e, quindi, da una catechesi sacramentale a una catechesi vitale».

Quali sono, dunque, le attenzioni decisive per attivare queste nuove narrazioni della proposta cristiana? Per Mons. Bulgarelli, sono tre gli ingredienti fondamentali per pensare dei percorsi di evangelizzazione e di catechesi:

  1. Ascolto: inteso come espressione della spiritualità biblica del credente. L’ascolto implica l’accettazione di non avere una risposta pronta, di non dare nulla per scontato. L’ascolto richiede una sana empatia e deve essere attento alla persona. L’ascolto, ovviamente, non è solo per la realtà che ci circonda, ma è l’atteggiamento fondamentale della nostra vita credente e cristiana. È quindi fondamentale l’ascolto della parola di Dio.
  2. Comunità: fare comunità non è un esercizio secondario, ma la questione ecclesiologica sta alla base dell’evangelizzazione. L’immagine di Chiesa è fondamentale per generare percorsi di catechesi ed evangelizzazione. Fare comunità significa dare slancio alle relazioni, liberandole dalla tentazione del possesso o dei numeri, e cercare di far emergere il contributo di ciascuno, ad esempio coinvolgendo le famiglie. Come possiamo ricostruire le nostre comunità? Ripartendo dall’autenticità e dalla parresia delle relazioni.
  3. Creatività: il vero creativo è colui che, osservando la realtà, mette insieme i punti che apparentemente sono inconciliabili. La creatività ha molto a che fare con la sinodalità, con il cammino fatto insieme.

«Se vogliamo generare dei percorsi nuovi di catechesi, – ha detto il relatore – credo che dobbiamo riflettere su che tipo di Chiesa stiamo generando e proponendo. Una comunità è attraente se ha delle umanità belle. Una risposta data male ad una persona che ti chiede una certa cosa, pregiudica un cammino di fede. Il rischio è quello di voler essere una comunità funzionale, ben strutturata, ma non è lo spirito di Evangelii Gaudium, che chiede di dar vita a comunità vive. Possiamo anche essere in pochi, ma l’importante è creare comunità vere».

Di cosa dovrebbe essere preoccupata la catechesi oggi? «Non credo sia giusto limitare la nostra preoccupazione alla prima comunione e alla cresima. Poniamoci invece queste domande: come possiamo aiutare le persone a capire che il Vangelo è una buona notizia per la loro vita di tutti i giorni? Quale idea di uomo e di donna, alla luce del Vangelo, voi volete generare? Queste sono le domande di una Chiesa madre, che accoglie, fa partire, riaccoglie e rilancia. Mettiamo dunque al centro le persone e prendiamoci cura di loro, per far crescere, maturare e sviluppare la loro umanità. La vita di fede va di pari passo con le virtù umane. Essere uomo o donna è necessario per essere un credente e puoi essere un credente solo nel momento in cui curi la tua umanità. Puoi quindi sapere a memoria il catechismo della Chiesa cattolica, ma se umanamente fai schifo non serve a niente».

«Sulla scia di Evangelii Gaudium (n. 164)  – ha continuato – la catechesi deve mettere al centro la persona. Da una catechesi preoccupata dei sacramenti bisogna passare ad una catechesi che aiuti la crescita e lo sviluppo di alcune dimensioni, non solo quella cognitiva, affettiva, comportamentale, ma anche altre dimensioni decisive per la vita umana, come quella simbolica (la capacità di mettere insieme). Se la dimensione simbolica non è educata, nell’altro vedi solo un corpo da usare a tuo piacimento, mentre se è educata vedi che l’altro è anche una storia di legami, una persona che ha relazioni. La catechesi deve essere capace di generare anche le dimensioni della gratuità e dell’alterità, ed essere espressione della pastorale della cura, evocata dall’enciclica Fratelli tutti».

 

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