Ritiro del Clero

16 giugno 2021

La giornata di ritiro del Clero, tenutasi in presenza, rispettando le regole Covid, al nuovo Centro Pastorale diocesano è iniziata con l’adorazione eucaristica e la celebrazione dell’ora media, a cui ha fatto seguito la meditazione di don Luca Bottegoni (riportata al termine dell’articolo). L’Arcivescovo ha salutato tutti i sacerdoti ricordando quelli ammalati, quelli anziani. Un ricordo particolare, con la preghiera, è stato rivolto a don Mario Serafini che è tornato alla casa del Padre. Ha ricordato alcuni eventi vissuti di recente: il 4 giugno “Le piazze di Francesco” diretta su steaming; il 9 giugno  “il Rosario per l’Italia” dal santuario di S. Giuseppe da Copertino su Tv 2000; il 10 giugno l’Udienza privata del Santo Padre con la Comunità del Seminario Regionale Marchigiano Pio XI. Sono stati comunicati alcuni cambiamenti di parroci che ci sono stati nelle parrocchie. E’ stato presentato e letto il regolamento della Casa Sacerdotale, sono seguiti degli interventi. E’ stato comunicato che: sabato 11 settembre, ricorrendo il decennale del Congresso eucaristico nazionale ad Ancona, ci sarà una solenne celebrazione in cattedrale alle ore 18.00, preceduta da momenti di evangelizzazione e da incontri culturali. E’ stato comunicato che, con il nuovo anno solare, l’Arcivescovo ha  intenzione di iniziare la visita pastorale nelle parrocchie. Il tema centrale del ritiro  è stato quello del prossimo Sinodo dei Vescovi sul tema: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”, (Settembre fase preparatoria. 9/10 ottobre celebrazione di apertura a Roma. 17 ottobre apertura fase sinodale nelle diocesi). Il cammino avrà un arco temporale che va dal 2021 al 2025 anno del Giubileo. La fase diocesana si svolgerà da ottobre 2021 ad aprile 2022. “L’obiettivo di questa fase è la consultazione del Popolo di Dio affinché il processo sinodale si realizzi nell’ascolto della totalità dei battezzati”. Per facilitare la consultazione e la partecipazione di tutti, la Segreteria Generale del Sinodo invierà un Documento preparatorio, accompagnato da un Questionario e da un Vademecum con proposte per realizzare la consultazione in ciascuna diocesi.  Da settembre 2022 a marzo 2023 si svolgerà la fase regionale-continentale del Sinodo. Si procederà alla redazione del secondo Instrumentum Laboris prima di giugno 2023. Perché il cammino sinodale? La pandemia sta mettendo in ginocchio le comunità cristiane, diocesane e parrocchiali. Si prospetta uno scenario multiforme,  (L’immagine del poliedro EG 236). La Chiesa è chiamata nel tempo della rinascita a coltivare un ascolto, un’immaginazione e una pratica in vista di un’Agenda di temi di ricerca che si lascia fecondare dall’annuncio del Vangelo e da quando stiamo imparando dalla pandemia. Il Concilio Vaticano II, Evangelii Gaudium e il Discorso del Papa  a Firenze sulle cinque vie: Uscire, annunciare,  abitare,  educare,  trasfigurare sono i punti basilari.  L’itinerario del “cammino sinodale” comporta la necessità di passare dal modello pastorale in cui le Chiese in Italia erano chiamate a recepire gli Orientamenti CEI a un modello pastorale che introduce un percorso sinodale, con cui la Chiesa italiana si mette in ascolto e in ricerca per individuare proposte e azioni pastorali comuni. La CEI ha avviato un gruppo di lavoro per armonizzare i temi, i tempi di sviluppo e le forme per “Annunciare il Vangelo in un tempo di rinascita” Carta d’intenti per il Cammino sinodale”.

Di seguito viene riportata la meditazione al Clero di Ancona Osimo di don Luca Bottegoni.

“Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere”(Ger 14,18b). Il capitolo 14 di Geremia ci mostra, con tuta la sua drammaticità, il sopraggiungere della siccità e le conseguenti desolazioni. Nessuno è risparmiato; né il notabile la cui ricchezza non serve per trovare acqua, né la cerva che partorisce per la morte, non trovando pascolo per il suo cerbiatto. La desolazione è cosmica e coinvolge solidamente tutto il creato. In tutto ciò anche il sacerdote e il profeta, gli uomini di Dio, il mediatore del culto e quello della Parola, sembrano non avere più speranza. Il sacrificio, l’olocausto non trovano più udienza di fronte a Dio e allora che senso ha rimanere nel tempio e il profeta non ha più il carisma ed è umiliato dalle sue stesse parole che non sono altro che menzogna. Il sacerdote e il profeta si aggirano smarriti. Non è il Covid ad aver causato tutto ciò, né una testina troppo facile a spiegare può aiutarci ad uscire da un dissolvimento che ha radici profonde, di fronte al quale ci sentiamo impreparati e dinanzi al quale cogliamo che la nostra liturgia è sempre più sterile e le parole della fede sembrano non intercettare la domanda dell’uomo.

La sociologa francese Danièle Lègar ha introdotto in questa ottica, il temine di “esculturazione”, per dire “lo scioglimento dei legami di affinità elettiva che la storia ha stabilito tra la cultura di un popolo e la cultura cattolica” (cf. Cattolicesimo, la fine di un mondo)

Gli effetti di questa “esculturazione” son molti e tante nostre fatiche di presbiteri a trovare conclusioni condivise ne sono una evidenza. Ne voglio sottolineare una, se volete piccola e marginale, ma sistematica della fatica di trovare riferimenti comuni. Da più parti si evidenzia una crescente indolenza dei presbiteri più giovani ad assumere responsabilità complesse e articolate come quella di una parrocchia ( senza voler mitizzare la portata pastorale). I cosiddetti preti giovani, ma non solo, mostrano sempre più un esplicito rifiuto ad assumere il ministero di parroco, quando a  lasciare  non sono preti già stagionati! O ad accogliere con una compiaciuta indolenza che si mostra poi nella ricerca comunque di esperienze calde e rassicuranti che diventa il vero riferimento affettivo e spirituale della propria vita. Di fronte a tutto ciò dobbiamo stare attenti a non derubricare il caso solo come difetto di formazione.

Mas torniamo al nostro sacerdote e al nostro profeta per non lasciarli stancare troppo nel loro vagabondare. Al cap. 15,19 di Geremia, dopo una intensa preghiera del profeta, il Signore si rivolge a lui con queste parole: “ Ha risposto allora il Signore: «Se tu ritornerai a me, io ti riprenderò e starai alla mia presenza; se saprai distinguere ciò che è prezioso

da ciò che è vile, sarai come la mia bocca”. La risposta del Signore non esime dall’iniziativa personale che qui voglio sottolineare come bisogno di discernimento: “se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vita, sarai come la mia bocca “implicito: le tue parole saranno le mie parole”.

Prezioso agli occhi di Dio è il suo popolo (Is 43,4); prezioso è l’uomo (Mt 12,12); prezioso è Cristo, pietra viva (1 Pt 2,4); prezioso è il sangue di Gesù nel quale fummo liberati (1Pt 1,19).

Che cosa è prezioso per noi? Per cosa vale la pena vivere e spendere la vita? Queste domande ci pongono nella condizione di dirci il nostro orientamento esistenziale. Al Offida c’è una chiesa bellissima e curiosa, risalente al 1300 ca. Questa chiesa si trova su uno sperone argilloso, un promontorio che guarda dall’alto la valle. Quando costruirono la chiesa decisero che la facciata doveva essere orientata ad est, verso Cristo, sole che sorge prescindendo dal fatto che poi l’abitato sarebbe stato totalmente di spalle. E infatti crearono poi delle aperture nell’abside trilobata più prossima al centro abitato. Se la scelta fosse stata adottata con un criterio funzionale evidentemente avremmo oggi un altro impatto. Ma alcune scelte, che vanno fatte, chiedono un orientamento chiaro in questo caso un orientamento chiaro a Cristo sole nascente.

L’attenzione al qui ed ora, al principio di incarnazione è sempre decisivo ma un approccio puramente funzionale che adombri il sole rischia di farci diventare come quei profeti che parlano, senza idre la parola di Dio.

Dall’orientamento dipende la forma, cioè la riforma di ogni realtà e quindi anche della chiesa e più modestamente della nostra personale. Accenno solo qui, dentro il contesto dell’orientamento e della Riforma, la necessità di un recupero personale delle virtù teologali che per un prete non possono essere semplicemente oggetto di predicazione pastorale o di speculazione teologica, ma devono assumere il tono e la forza di una testimonianza viva e coerente(Cf GPII udienza del 22.11.2000). Per dirla con Tonino Bello: “Se la fede ci fa essere credenti, e la speranza ci fa essere credibili è solo la carità che ci fa essere creduti”.

Troppo spesso, anche tra noi, avvertiamo che più che un corpo la Chiesa è fatta di tifoserie che esaltano ora l’una ora l’altra realtà della vita di Cristo. Personali inclinazioni e a volte individualistiche fragilità rischiano di deformare il volto di Cristo dentro un abuso di autorità che si alimenta della dipendenza e della povertà intellettuale delle tifoserie di cui ci attorniamo

Occorre recuperare il senso del tutto che solo le virtù teologali sono capaci di restituirci, perché illuminano il tutto dell’esistenza umana e il tutto dell’esperienza nel tempo.

Orientamento e riforma oggi chiedono un cammino di Chiesa nella quale lo Spirito sia ascoltato attraverso il contributo di tutti. Se il Papa ci mostra la strada sinodale per arrivare a un sinodo che ha quale tema:2Per una Chiesa sinodale: comunione partecipazione e missione”, credo che in nessun livello ci si possa esimere dal cammino sinodale, che non è uno dei modi possibili, ma l’unico modo che lo Spirito dice alla Chiesa oggi. Cosa vuol dire questo per noi? Dobbiamo riconoscerlo, siamo una Chiesa diocesana disarticolata e la responsabilità è anche la nostra: dei nostri gusti, della nostra intelligenza, dei nostri particolarismi, delle nostre resistenze e diciamolo delle nostre fatiche a cambiare e a cambiare anche parrocchia. Lo scarso coinvolgimento dei battezzati tutti nei processi su cui stiamo riflettendo da tempo non sono un buon segnale. Infine, l’ultimo punto: il tutto è per la missione. Mi avvalgo di alcune parole di Benedetto XVI:<<La conversione del mondo antico al cristianesimo non fu il risultato di una attività pianificata, ma il frutto della prova della fede nel mondo come si rendeva visibile nella vita dei cristiani e nella comunità della Chiesa. L’invito reale da esperienza a esperienza e nient’altro fu, umanamente parlando, la forza missionaria della Chiesa antica>>. Papa Francesco:<<Ammirazione e stupore sono i sentimenti, i tratti distintivi che connotano il cammino dei missionari. Niente a che vedere con l’impazienza e le ansie degli agenti mandati dalle agenzie a fare pubblicità per accaparrare soci e proseliti>>.

Concludo per non prenderci troppo sul serio con una battuta: ”Non vi basta di stancare la pazienza degli uomini, perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio?” Se posso aver stancato la vostra pazienza, spero di non aver stancato quella di Dio, il quale di fronte a tutto ciò non ci dice basta, ma ci dona una segno di vita:<<Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele>> (Is 7,14).