Ritiro del Clero diocesano del 12 maggio 2022

Presso il centro Pastorale Diocesano si è tenuto il ritiro mensile del Clero, dopo l’adorazione eucaristica e la preghiera dell’ora media, don Marco Castellani ha tenuto la meditazione che viene pubblicata in fondo. L’Arcivescovo ha invitato alla preghiera per il defunto don Dino Albanesi, ha ricordato i sacerdoti anziani e ammalati tra cui don Tarcisio. Ha invitato i presenti a partecipare agli esercizi spirituali che si terranno a Loreto dal 20 al 23 giugno. Ha comunicato che dal 4 all’8 luglio andrà a Pietralba con i seminaristi, qualche giovane in orientamento vocazionale e con i sacerdoti ordinati negli ultimi 15 anni. C’è posto per chi  ancora non ha fatto l’iscrizione. Ha invitato i sacerdoti a promuovere la campagna dell’otto x mille alla Chiesa Cattolica; si è conclusa l’anno di scuola di teologia e che ci saranno gli esercizi spirituali per laici. Ha fatto poi leggere dal Vicario Generale, don Carlo, il decreto di cui viene riportato in calce il testo integrale in PDF. Ha comunicato che Sabato 4 giugno alle ore 21.00 si terrà la  Veglia diocesana di Pentecoste nella cattedrale di San Ciriaco; Giovedì 16 giugno solennità del Corpus Domini verrà celebrata la S. Messa nella cattedrale di San Ciriaco alle ore 18.00, dopo seguirà la processione fino alla chiesa di S. Francesco alle scale; prossimo ritiro del  Clero 9 e 10 giugno due mattinate per  elaborare il documento finale sulla catechesi nella arcidiocesi; avendo ricevuto la rinuncia di alcuni parroci per età, per salute e altri motivi, comunica che ha riunito il Collegio dei Consultori, ha ricevuto buone indicazioni e per questo in futuro  ci saranno dei cambiamenti. Don Davide ha comunicato che il 25 giugno ci sarà la Festa della Famiglia a Loreto nel pomeriggio e ad Ancona il 26 giugno la Festa diocesana della Famiglia si terrà a Colle  Marino al parco degli ulivi. Il diacono Giuseppe Rella ha comunicato la data della sua ordinazione sacerdotale, 11 giugno ore 21.00, e consegnato il manifesto ai presenti. Dopo gli avvisi  è intervenuto don Sauro Barchiesi  che ha letto la sintesi di quanto emerso dai lavori di gruppo dei sacerdoti  sul tema del rinnovamento della catechesi nella arcidiocesi. E’ seguito l’intervento di don Andrea Cesarini  che ha illustrato la sintesi delle schede del cammino sinodale nella arcidiocesi inviate alla segreteria della CEI e che vengono pubblicate sul sito della Arcidiocesi nella finestra; Cammino sinodale.

 

Meditazione di don Marco Castellani

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

La vicenda che sta coinvolgendo il Salvatore è molto chiara. Essa è di facile sintesi, poiché la struttura del vangelo Giovanneo, caratterizzata da fatti che comprovano le parole, presenta sempre, dopo una sezione narrativa, un dibattito sulla figura del Cristo. Ci troviamo, infatti, davanti ad un fatto appena compiuto nel capitolo nove, dove viene narrata la guarigione del cieco nato. In questo nuovo capitolo, la domanda è su chi sia Gesù. Egli aiuta le autorità giudaiche, ancora intente a cercare una logica giustificazione all’accaduto, mostrandosi per ciò che è: In verità in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore (Gv 10,1-2). È interessante questo inizio del capitolo dieci; Gesù mette subito in risalto un’affermazione chiara, fornendo, come prova di ciò, gli strumenti agl’interlocutori per verificarne la veridicità. Ma il clima in cui Egli parla, è un clima teso. Infatti, quello che prima era un legittimo dubbio sulla figura del Cristo, dopo la guarigione del cieco nato è diventata chiara ostilità. Insomma, gli astanti non intendono capire e cercano da soli delle logiche per sviare la verità. In questo sfondo, allora le parole del Maestro assumono un significato completamente nuovo: Egli non solo fornisce gli strumenti per verificare da soli le cose; non soltanto prende posizione sulla vicenda dichiarandosi apertamente; Egli apre il discorso con una rivelazione vera e propria: In verità, in verità vi dico…

«Le mie pecore ascoltano la mia voce… ascoltare la voce, questo è il carattere identificativo delle pecore, cosa che non stanno facendo gli astanti i quali accusano e rigettano il Messia. Leggere con il senno di poi tale vicenda è molto facile; quanto ci potrebbe sembrare facile prendere posizione su questa vicenda, accusando gli astanti di testardaggine in merito. Gesù li definisce ciechi al termine del capitolo nove, poiché si ostinano a non vedere pur vedendo, mentre il cieco nato, che ora vede, vede davvero… forse la domanda da porci è un pochino più profonda: di che vista stiamo parlando? Il cieco nato vede, ma cosa vede? Le autorità giudaiche cosa vedono? Il cieco ha ascoltato ed è diventato pecora; le autorità cosa stanno ascoltando tanto da non renderle pecore?

È allora chiaro che c’è qualcosa che sta ottenebrando la vista, qualcosa che sta attutendo il suono soave della voce del Pastore. Un grande aiuto ci viene dato da quanto l’evangelista afferma al versetto 22 del medesimo capitolo: ricorreva allora la festa della dedicazione… essa mirava a commemorare la riapertura e purificazione del Tempio di Gerusalemme, avvenuta per opera di Giuda Maccabeo (165-164 a.C.). Nella cosiddetta Rivolta Maccabaica, il Tempio venne purificato dalla conversione, dello stesso stabile, a luogo di preghiera delle divinità straniere. L’idolatria, nemico e peccato più grande dell’antico testamento, aveva preso il sopravvento sulla vita del Popolo eletto e solo un piccolo gruppo di “partigiani” riuscì nell’intento della liberazione.

e io le conosco ed esse mi seguono… la conoscenza che Gesù ha delle pecore non è legata all’emotività del rapporto, quanto alla profonda conoscenza dei desideri più profondi che l’umanità porta nel cuore. Egli sa che cosa il cuore dell’uomo desidera ardentemente, ma sa anche che lo stesso cuore, organo decisionale secondo la Scrittura, cerchi risposta ai suoi desideri mediante l’idolatria. Idolo, come termine, viene da “eidolon” termine greco di radice verbale: “orao” cioè vedere. Dunque un idolo, altro non è che un vedere, si ma fissandosi su una cosa. Egli conosce ciò che è nel cuore del cuore dell’uomo, ossia nella sua profondità, ma l’uomo cerca una risposta altrove. Qualcosa dunque impedisce gli astanti ad ascoltare la voce del Pastore delle pecore. Qualcosa si interpone come ostacolo alla sequela del Maestro. il primo libro dei Maccabei al capitolo 1 ci svela cosa ha provocato l’abominio della devastazione, cioè cosa ha determinato l’idolatria:

11In quei giorni sorsero da Israele figli empi che persuasero molti dicendo: “Andiamo e facciamo lega con le nazioni che ci stanno attorno, perché da quando ci siamo separati da loro, ci sono capitati molti mali”. 12Parve ottimo ai loro occhi questo ragionamento; 13alcuni del popolo presero l’iniziativa e andarono dal re, che diede loro facoltà di introdurre le istituzioni dei pagani. 14Essi costruirono una palestra in Gerusalemme secondo le usanze dei pagani 15e cancellarono i segni della circoncisione e si allontanarono dalla santa alleanza; si unirono alle nazioni pagane e si vendettero per fare il male.

Dunque la questione che ha determinato l’idolatria del popolo eletto, fu la paura “che ci capitino molti mali” … Diventa chiaro che il lavoro costante, la battaglia perenne nell’interiorità dell’umano è il decidersi da che parte stare. È la scelta se protendere dalla parte della paura e rimanere schiavi della stessa, orientando così le scelte alla luce di ciò che sembri corrispondere al desiderio, ma alla fine altro non è che un “rimediare costante”. Oppure scegliere di ascoltare la propria profondità, dove mediante la grazia dello Spirito Santo, parla la voce del Pastore.

Io do loro la vita eterna… se il pastore si limitasse ad affermare che Egli dona la Sua vita, questo non sarebbe per nulla di poco conto, poiché già questo segna la differenza abissale tra il pastore ed il mercenario. In questo versetto, però, ci viene detto che Egli dona la “vita eterna”, non la semplice vita biologica. San Paolo nella prima Lettera ai Corinzi riporta una distinzione tra la vita psichica e quella dello spirito:

11 Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. 12 Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. 13 Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. 14 L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. 15 L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. (1Corinzi 2:11-15)

Quello che nella traduzione viene definito “uomo naturale” altro non è che “psichicos anzropos” l’uomo psichico. Dunque per la Scrittura esiste una vita puramente psichica ed un’altra vita, quella eterna che viene detta “zoen aionon” che di per sé vuol dire eterna, ma non come una caratteristica cronologia, bensì di pienezza. L’uomo spirituale vive della vita eterna, della vita in pienezza. Possiamo allora affermare che ciò che annebbia lo sguardo alle autorità giudaiche, ciò che non permette di udire la voce del Pastore è il “radicamento alla vita psichica di certuni”. Infatti, la paura che “ci capitino molti mali”; la paura in se stessa è ciò che determina la vita psichica di tutti noi, una vita caratterizzata dalla “permanenza” nella stessa.

L’uomo psichico è schiavo delle sue paure e vive cercando di evitarle, non vive osando, scommettendo, ma soltanto nel rimediare alle cose.

e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano… diventano chiare allora le parole del Maestro: Egli davanti alla paura dell’uomo psichico, contrappone la sicurezza della vita in Lui. Ciò che serve allora per entrare nel gregge, altro non è che un salto, una scelta totale e definitiva per Cristo. La caratteristica di chi si è deciso per Cristo è l’assenza della schiavitù della paura, la pace e la serenità. Infatti, si tratta di una nascita nuova, non di scimmiottarla.

Spesso si cerca di vivere la vita spirituale partendo dalla vita psicologica: si parte dall’ideale della “purificazione” e si finisce per imporre a sé stessi regole e dinamiche che l’uomo vecchio non è in grado di sopportare. Gesù afferma: Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo (Lc 14,26).

Nell’originale greco non si attesta semplicemente che non si può essere Suoi discepoli, ma non si riesce ad esserlo… l’uomo psichico finisce per nascondere le sue paure nell’ambito religioso, rivestendo certi aspetti della vita di regole e sacralità. È possibile che l’intera vita di un credente sia non soltanto ammantata di paure nascoste, ma che sia usata dalla stessa psiche per rispondere alle proprie paure: quanto la semplice preghiera con il Signore, se caratterizzata da un atteggiamento intimista e spesso vittimista, nasconde questa triste realtà? Quanto addirittura un pastore può usare il suo ministero per servire le proprie paure piuttosto che gli altri!

Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola… quanto il Maestro propone, non è una semplice modifica del carattere, ne un banale cambiamento nel “modo di porsi”. Egli tira fuori una questione che sembra non centrare molto con il Pastore: il Padre. La vita eterna, la zoen aionon nasce dal mettere mano alla figura del padre, del proprio padre e madre. La vita psichica altro non è che il risultato di quanto, in bene ed in male, hanno determinato il comportamento dei nostri genitori. Il quarto comandamento (onora tuo padre e tua madre) chiede un passaggio particolare appunto per entrare nella vita nuova, quella eterna: onorare non equivale a dare onore o rispetto. Onorare viene da “onus” o da “onorario” ciò sta ad indicare una realtà ancora più precisa, ma spesso disattesa: dare il giusto peso ai propri genitori… solo imparando a “tagliare” a “rompere” quel famoso cordone ombelicale potremo vivere la vita eterna, in pienezza. Ma concretamente che vuol dire “tagliare il cordone”? significa dire basta ad una cosa: a quel nostro “io ferito” che costantemente si ripropone nel nostro vivere. Si tratta di dire basta a quella specie di “tassa sulla nostra infanzia” che noi costantemente facciamo pagare a chi si relaziona con noi. Se il mio presente è il risultato del mio passato, posso decidere se vivere con quel “filtro”, oppure davvero “lasciarmi andare” a quello che mi viene proposto. Posso imparare a dire basta a quelle paure che mi perseguitano in virtù di quelle ferite che ho ricevuto da piccole. Anche io possi, insomma, dedicare il mio tempio personale: posso distruggere quel rito antico del ritornare alle mie ferite, per vivere il nuovo e sempre più vero sacrificio: la vita in pienezza.

 

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Decreto 2 maggio 2022