Custodire le nostre terre ferite difende la salute di tutti. Il messaggio del cardinale Bassetti

La Chiesa italiana in campo per difendere la vita di tutti diffondendo la responsabilità verso il Creato come casa di tutti. Nasce una rete tra 78 diocesi con territori inquinati

Le nostre terre» è il tema del convegno online organizzato dalle Commissioni episcopali per i Problemi sociali e il Lavoro e per il Servizio della Carità e la Salute e dagli Uffici Cei che si occupano dei due ambiti insieme alla diocesi di Acerra.

Previsto un anno fa e poi rimandato, il convegno segna un punto di svolta nell’approccio della Chiesa italiana alle questioni ambientali legando la custodia del Creato nel solco della «Laudato si’», la salvaguardia della vita e della salute, il lavoro e lo sviluppo, coinvolgendo le 78 diocesi nel cui territorio ricadono i 42 Siti di interesse nazionale (Sin) che costituiscono le ferite ambientali aperte del nostro Paese, per le più diverse cause.

Il messaggio del cardinale Bassetti

«È riduttivo, quando non addirittura discriminante, parlare di “terra” e di “terre dei fuochi”: perché dobbiamo piuttosto affermare con forza che siamo responsabili della “custodia di tutte le terre”». C’è una chiamata alla responsabilità di tutti – e anzitutto dei credenti – e a una consapevolezza del legame tra ferite del Creato e tutela della vita e della salute al centro della riflessione del cardinale Gualtiero Bassetti al convegno «Custodire le nostre terre», organizzato online dalle Commissioni episcopali per i Problemi sociali e il Lavoro e per il Servizio della Carità e la Salute e dagli Uffici Cei che si occupano dei due ambiti insieme alla diocesi di Acerra. Previsto un anno fa e poi rimandato, il convegno segna un punto di svolta nell’approccio della Chiesa italiana alle questioni ambientali legando la custodia del Creato nel solco della «Laudato si’», la salvaguardia della vita e della salute, il lavoro e lo sviluppo, coinvolgendo le 78 diocesi nel cui territorio ricadono i 42 Siti di interesse nazionale (Sin) che costituiscono le ferite ambientali aperte del nostro Paese, per le più diverse cause.

Secondo Bassetti «la custodia, o la mancata custodia, della casa comune – in quanto siamo tutti parte dell’umanità – incide direttamente sulla nostra salute. Gli effetti ambientali prodotti dalle nostre scelte hanno una incidenza diretta sulla salute fisica, psichica e sociale di tutti, e di ciò l’umanità è responsabile, prima che vittima». Data questa premessa, «la Chiesa – sottolinea il presidente della Cei – ritiene suo dovere farsi carico del tema della salute di tutti e di ciascuno, in forza del comandamento dell’amore che anima la propria azione e dell’esplicito mandato evangelico di evangelizzare e guarire».

Per la Chiesa italiana è l’ora di passare dalle parole a una vera leadership su una questione che lega ambiente e salute, vita e dignità, intrecciandosi con il modello di sviluppo: «Ai cristiani – dice – spetta il duplice compito di custodire la natura creata e con essa di custodire la simbologia che essa racchiude, animando il dibattito e il confronto non solo scientifico, o sociale e politico, ma culturale, spirituale ed etico». Si tratta di una svolta vera e propria, che parte da una presa di coscienza di cui la Chiesa possiede una chiave di lettura decisiva: «Se non siamo capaci di una logica di amore (e dell’agire per amore) – spiega il presidente dei vescovi italiani –, la logica del fare fine a se stesso ci soverchia: del fare carriera, del fare soldi, del fare in fretta. Così facendo accade però – per malizia o per ignoranza – che non ci si soffermi a guardare gli esisti di questo fare: l’inquinamento è figlio di una cupidigia del fare che ha rifiutato di guardare con amore all’umanità e al creato». In questo c’è una «responsabilità» che «si pone su diversi livelli: quello personale, sul quale ciascuno verrà valutato, quello familiare, in quanto la famiglia è il primo ed insostituibile soggetto di educazione , quello sociale e civile, per cui esiste una responsabilità diretta di chi amministra, e di chi quell’amministrazione l’ha voluta».

Il verbo-chiave di questo discorso è «custodire» («un verbo molto spirituale e al tempo stesso molto concreto», nel senso di «prendersi cura in modo diretto e personale, nel cuore e con i fatti». Dunque si tratta di essere «custodi operosi» con un «prendersi cura diretto, impegnativo, personalmente coinvolgente, soprattutto indelegabile». Un atteggiamento determinante in questo cambiamento di sguardo è la «semplicità», che consiste nel «ridurre agli elementi essenziali la vita dell’uomo» liberandosi da «una cultura del superfluo». È un atteggiamento ispirato all’«essenziale evangelico», basato sull’evidenza prodotta dal convegno Cei che «un’ampia parte del territorio italiano è inquinato».

Per i cattolici nel nostro Paese è il momento di «agire» a partire da «una comprensione dei fatti inserita nell’annuncio del Vangelo e nella fede: concreta, intelligente, operosa, non inerte, tantomeno indifferente», consapevoli evangelicamente che «quando hai fatto, o non hai fatto, qualcosa al più piccolo dei miei fratelli, l’hai fatto, o non lo hai fatto, a Me».

Per sviluppare questa «correlazione tra inquinamento dell’ambiente, inquinamento dei corpi e inquinamento delle coscienze» la Chiesa italiana mette in campo uno dei suoi appuntamenti storicamente di maggior significato: le Settimane sociali dei cattolici, in programma a ottobre a Taranto su «Ambiente lavoro e futuro». Un evento al quale ci si presenta con una novità rilevante che nasce dal convegno «Custodire le nostre terre»: la nascita di una rete tra le 78 diocesi che hanno dato vita a questa prima esperienza di condivisione trasversale di un tema di rilievo sociale tra Chiese locali.

Il comunicato finale: coordinamento delle 78 Diocesi

«Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura» (Laudato si’, 139). Le parole di Papa Francesco, nell’Enciclica sulla cura della casa comune, hanno sostenuto la riflessione del convegno “Custodire le nostre terre. Salute, ambiente, lavoro”, promosso dalla Commissione Episcopale per il servizio della carità e la salute, dalla Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, dai Vescovi della Conferenza Episcopale campana, dagli Uffici Nazionali per la pastorale della salute e per i problemi sociali e il lavoro, e dalla Caritas italiana. Al termine dei lavori i partecipanti all’incontro hanno ribadito l’impegno a vivere e promuovere l’ecologia integrale nei rispettivi territori e a livello nazionale.

La pandemia ha messo in luce, con grande forza, come tutto sia connesso: la vicinanza ai malati e a quanti stanno soffrendo per il virus si aggiunge alla solidarietà per chi vive sulla propria pelle gli effetti dannosi dell’inquinamento.

A causa di una mancata custodia, hanno sottolineato i partecipanti, «le nostre terre, da Nord a Sud, risultano contaminate da diversi fattori, con ampie conseguenze sulla salute, in particolare dei giovani e dei più poveri. Di fronte a questo dramma, la reazione delle istituzioni e della politica è stata spesso percepita come poco incisiva e distante dai bisogni della popolazione. È altrettanto vero che non ci sono stati né una sufficiente educazione alla custodia del creato né, in generale, un grande coinvolgimento da parte della comunità ecclesiale».

Come ricorda Papa Francesco: «Alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera, con il pretesto del realismo e della pragmaticità, spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti» (LS 217). Eppure, aggiunge, «vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (LS 217).

Da qui l’auspicio dei partecipanti al convegno affinché «ognuno prenda a cuore la questione ambientale e che essa sia inserita ai vertici delle priorità delle istituzioni, ad ogni livello (nazionale, regionale e comunale)» per sviluppare sempre di più una cultura della cura.

«Quando qualcuno riconosce la vocazione di Dio a intervenire insieme con gli altri in queste dinamiche sociali, deve ricordare che ciò fa parte della sua spiritualità, che è esercizio della carità, e che in tal modo matura e si santifica» (LS 231).

La cultura della cura, quindi, non è appannaggio di alcuni o di specifiche categorie, ma deve riguardare ogni uomo e ogni donna di buona volontà.

Nonostante il dolore per le ferite del pianeta e di moltissime famiglie del nostro Paese, «non tutto è perduto» (LS 205), perché il «Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra Casa comune» (LS 13).

Per questo, dal convegno emerge l’impegno a lavorare per favorire la conoscenza della Laudato si’, aiutando le Diocesi a educare alla salvaguardia del creato, a offrire itinerari educativi e a motivare «fino a dar forma a uno stile di vita» (LS 211). Un passo significativo, in tal senso, verrà compiuto con la 49ª Settimana Sociale dei cattolici italiani, in programma a Taranto dal 21 al 24 ottobre 2021, sul tema “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro e futuro. #tuttoèconnesso”. Ciò che sta cuore è un futuro degno della dignità della persona umana e della casa comune. Solo coinvolgendo le famiglie, le scuole, la catechesi, i mezzi di comunicazione sociale sarà possibile trasformare i concetti di sobrietà e sostenibilità in stili di vita, da declinare nella quotidianità. Per fare questo occorre mettere in rete le buone pratiche, gli esempi virtuosi nati sui territori, per elaborare una proposta unitaria.

L’auspicio finale è che dal convegno possa prendere avvio un coordinamento tra le 78 Diocesi italiane, nel cui territorio ricadono i 42 “Siti di Interesse Nazionale per le bonifiche”, censiti dal Ministero per la Transizione Ecologica: la “terra dei fuochi” non è un luogo circoscritto ma un fenomeno esteso all’intero Paese.