Conferenza regionale dello sport. Relazione di Mons. Angelo Spina, Arcivescovo- Metropolita di Ancona-Osimo.

Nei giorni 30 giugno, 1 e 2 luglio si è tenuta la Conferenza Regionale dello Sport presso il Palazzo Li Madou ad Ancona. E’ stato invitato l’arcivescovo Angelo  che ha tenuto un intervento che di seguito viene riportato.

 

“Buon giorno  a tutti, grazie per lì’invito che mi è stato rivolto a partecipare a a tenere una relazione sul tema: “Sport, etica e comunicazione” è di grande interesse e coinvolge tutti, in modo particolare i ragazzi e i giovani che sono non solo il futuro ma il presente dello sport, nelle sue diverse espressioni e discipline.

Un giorno dei giovani studenti posero una domanda al grande filosofo Platone (nato nel 428 a.C.): Che differenza c’è tra i barbari e gli ateniesi? Dopo un momento di riflessione, come è solito fare ai filosofi, Platone rispose: “I barbari giocano, gli ateniesi fanno sport”. E’ significativa questa affermazione perché ci introduce in un discorso affascinante che ha molteplici conseguenze.

Se volessimo definire chi è l’uomo? potremmo dire  con Aristotele, discepolo di Platone, che è un animale razionale, politico. A questa definizione penso che dobbiamo aggiungere che l’uomo è un essere ludico. Vale a dire gli piace giocare, tutti giocano, ma secondo Platone non tutti fanno sport.

Tutte le culture e in ogni tempo hanno sviluppato attività di tipo ludico, fisico e competitivo che potrebbero essere riconosciute come attività sportive. Lo sport è un fenomeno universale. In qualsiasi luogo e in qualsiasi epoca gli uomini hanno vissuto in comunità, e si sono dilettati con giochi, con pratiche motorie, godendo del perfezionamento delle proprie abilità fisiche e gareggiando tra di loro.

Nello sport l’essere umano impegna tutto se stesso: corpo, mente,  anima e spirito. La persona è una unità di corpo, mente,  anima e spirito.

Ricordo un incontro con i ragazzi, alla domanda: Ragazzi ma noi abbiamo un’anima? Restarono tutti zitti, ammutoliti. Poi un ragazzo disse: sì io un’anima penso di averla, perché quando gioco a pallone, papà dalla tribuna mi grida: “figlio mio e mettici l’anima!”.

Lo sport non è solo un perfezionamento fisico, un fatto di muscoli, di tecniche, ma ha una dimensione più alta.

Lo sport implica la libertà, la responsabilità, il rispetto delle regole.

Oggi molti credono che la libertà sia fare ciò che si vuole, senza alcun limite. Tale modo di pensare separa la libertà dalla responsabilità e può anche far venire meno la consapevolezza delle conseguenze delle azioni dell’essere umano. Al contrario, lo sport ci ricorda che la vera libertà deve essere anche responsabilità.

Le sette parole chiave dello sport, che prendo dal libro “Lo sport secondo Papa Francesco, Lettera aperta a un atleta olimpico, Gazzetta dello sport.

 

La prima: lealtà.

Lo sport è lealtà e rispetto delle regole. Anche lotta alle scorciatoie, lotta al doping. Il gioco e lo sport in genere sono belli quando si rispettano le regole: senza le regole, infatti, ci sarebbe anarchia, confusione totale. Rispettare le regole è accettare la sfida di battersi con l’avversario in maniera leale.

Per quanto riguarda, poi, la pratica del doping nello sport non solo è un imbroglio, una scorciatoia che annulla la dignità e ruba ciò che è degli altri. Meglio una sconfitta pulita che una vittoria sporca.

 

La seconda parola: impegno

La storia, non solo quella sportiva, racconta di tanta gente di talento che si è poi persa strada facendo. Il talento è niente senza l’applicazione. Nello sport non basta vere talento per vincere: occorre custodirlo, plasmarlo, allenarlo, viverlo come l’occasione per inseguire e manifestare il meglio di noi.

 

La terza parola : sacrificio

A nessuno piace fare fatica perché la fatica è un peso che ti spezza. Il “sacrificio” è termine che lo sport spartisce con la religione: “sacrum facere” è dare sacralità alla  fatica. Il sacrificio, poi, richiede disciplina perché possa diventare successo. Penso ad esempio alla specialità del lancio del peso: non è il peso, il carico, che ti fa cadere, ma come lo porti e lo lanci. Se non resti concentrato sull’obiettivo e non hai una motivazione forte, il peso ti sbilancia e farà cadere.

La quarta parola: inclusione

Questo sarà l’anno delle Olimpiadi. I giochi da sempre sono un segno di inclusione, contrapposto alla cultura del razzismo, dello scarto. All’inizio della esperienza delle Olimpiadi, infatti, si prevedeva addirittura la tregua dalle guerre nel tempo delle competizioni. Ogni quattro anni il mondo ha la possibilità di fermarsi per chiedere come sta, come stanno gli altri, quale è il termometro di tutto. Celebrare le Olimpiadi è una delle forme più alte di ecumenismo umano, di condivisione della fatica per un mondo migliore, lotta al razzismo, alla esclusione, alla diversità.

 

La quinta parola: spirito di gruppo

Fare squadra è essenziale nella logica dello sport. Anche nella vita di tutti i giorni. Lo sport ha questo di bello: che tutto funziona avendo una squadra come cabina di regia. Gli sport di squadra assomigliano ad un’orchestra: ciascuno dà il meglio di sé per quanto gli compete sotto la sapiente direzione del maestro d’orchestra. O si gioca insieme o si rischia di schiantare. E’ così che piccoli gruppi, capaci però di restare uniti, riescono a battere squadroni incapaci di collaborare assieme.

C’è un proverbio africano che dice che se una squadra di formiche si mette d’accordo è capace di spostare un elefante. Non funziona solamente nello sport questo.

 

La sesta parola: ascesi

Le storie delle gradi imprese sportive ci inducono a pensare che il gesto sportivo sia una specie di ascesi. Immagino le scalate sugli ottomila metri, le immersioni negli abissi, le attraversate degli oceani come tentativi per ricercare una dimensione diversa, più alta, meno abituale. E’ riscoprire la possibilità dello stupore. Andare sempre oltre.

 

La settima parola: riscatto

Dire sport è dire riscatto. Sì, infatti non basta sognare il successo, occorre svegliarsi e lavorare sodo. E’ per questo che lo sport è pieno di gente che, col sudore della fronte, ha battuto chi è nato con il talento in tasca. La fame, quella vera, è la motivazione più formidabile per l cuore: è mostrare al mondo di valere, è cogliere l’unica occasione che ti danno e giocartela. Questa è gente che ha fame, tanta fame di riscatto. Per questo certe vittorie portano a commuoversi.

 

Lo sport è fare festa, è divertimento.

E’ come se sparisse tutto e il mondo fosse appeso a quell’istante.

Lo sport è, come ho detto: fatica, motivazione, sviluppo della società assimilazione delle regole, ma lo sport è divertimento. E’ una via di comunicazione impressionante. Comunicare, parola che deriva da cum-munus  mettere insieme, fare comunione, nello sport trova uno dei suoi alti livelli.

Penso alle coreografie negli stadi di calcio, alle scritte per terra quando passano i ciclisti, agli striscioni di incitamento quando si svolge una competizione. Trombe, razzi, tamburi: è come se sparisse tutto, come se il mondo fosse appeso a quell’istante. Lo sport, quando è vissuto bene, è una celebrazione: ci si ritrova, si gioisce, si piange, si sente di “appartenere” ad una squadra. “Appartenere” è ammettere che da soli non è così bello vivere, esultare, fare festa. E’ curioso, poi, che qualcuno leghi la memoria di qualcosa con lo sport: “L’anno in cui la squadra ha vinto lo scudetto (Barzelletta della data del matrimonio). IN qualche modo lo sport è esperienza del popolo e delle sue passioni, segna la memoria personale e collettiva. Forse sono proprio questi elementi che ci autorizzano a parlare di “fede sportiva”.

 

Delle Olimpiadi sono parte integrante le Paralimpiadi, forse una delle forme più alte di uguaglianza, dignità, rispetto.

Quando vedo di che cosa sono capaci certi atleti, che portano impresso nel loro fisico qualche disabilità, rimango sbalordito dalla forza della vita. Dello sport mi piace l’idea di inclusione, quei cinque cerchi che si anellano tra loro finendo per sovrapporsi: è un’immagine splendida di come potrebbe essere il mondo. Il movimento paralimpico è preziosissimo: non solo per includere tutti, ma anche perché è l’occasione per raccontare e dare diritto di cittadinanza nei media a storie di uomini e di donne che hanno fatto della disabilità la loro arma di riscatto. Quando vedo o leggo di qualche loro impresa, penso che il limite non stai dentro di loro, ma soltanto negli occhi di chi li guarda. Sono storie che fanno nascere storie, quando tutti pensano che non ci sia più nessuna storia da raccontare.

Per concludere: lo sport ci aiuta a metterci sempre in gioco, a non arrenderci, a spingerci sempre oltre dando il meglio di sé. Un messaggio vero, aperto, universale. Grazie”.

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