XXVI Giornata della vita consacrata: celebrazione nella Concattedrale di Osimo

Il 2 febbraio, festa della Presentazione di Gesù al tempio, la Chiesa rende grazie al Signore per il dono della vita consacrata. I religiosi, le religiose e quanti hanno scelto di consacrare la loro vita a Dio si sono riuniti nella Concattedrale di Osimo per partecipare alla Santa Messa, presieduta dall’Arcivescovo Angelo Spina. È stata una celebrazione particolarmente attesa e significativa, innanzitutto per rendere insieme grazie a Dio del dono, anche nella nostra Chiesa locale, di tante forme di vita consacrata. In secondo luogo, per il contesto dell’attuale sinodo che invita tutti – vescovo, presbiteri, laici, consacrati, movimenti, associazioni – a camminare insieme, in un cammino di comunione e di fraternità, di ascolto e di partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa.

Di seguito l’omelia dell’Arcivescovo

Cari fratelli e sorelle,
celebriamo oggi la festa della presentazione di Gesù al tempio e la XXVI Giornata per la vita consacrata. Siamo qui a rendere grazie al Signore per questo incontro segnato dalla fedeltà di Dio che si manifesta nella perseveranza gioiosa di tanti uomini e donne, consacrate e consacrati negli Istituti religiosi, monastici, contemplativi, negli istituti secolari e nei “nuovi istituti”, membri dell’Ordo virginum, eremiti.
Oggi la liturgia ci mostra Gesù che va incontro al suo popolo. Lui è la luce che si rivela alle genti. Potremmo definire la festa di oggi la festa dell’incontro. C’è la novità del Bambino Gesù e la tradizione del tempio, ciò che anticamente era stato promesso trova compimento.
Maria e Giuseppe, giovani, incontrano Simeone e Anna, anziani. Tutto, insomma, si incontra quando arriva Gesù. Ci ricorda Papa Francesco: <<Che cosa dice questo a noi? Anzitutto che anche noi siamo chiamati ad accogliere Gesù che ci viene incontro. Incontrarlo: il Dio della vita va incontrato ogni giorno della vita. Il Signore non si incontra virtualmente, ma direttamente, incontrandolo nella vita, nella concretezza della vita. Altrimenti Gesù diventa solo un bel ricordo del passato. Quando invece lo accogliamo come Signore della vita, centro di tutto, cuore pulsante di ogni cosa, allora Egli vive e rivive in noi. E accade anche a noi quello che accadde nel tempio: attorno a Lui tutto si incontra, la vita diventa armoniosa. Con Gesù si ritrova il coraggio di andare avanti e la forza di restare saldi. L’incontro col Signore è la fonte. È importante allora tornare alle sorgenti: riandare con la memoria agli incontri decisivi avuti con Lui, ravvivare il primo amore, magari scrivere la nostra storia d’amore col Signore. Farà bene alla nostra vita consacrata, perché non diventi tempo che passa, ma sia tempo di incontro. Il Vangelo ci dice anche che l’incontro di Dio col suo popolo ha una partenza e un traguardo. Si comincia dalla chiamata al tempio e si arriva alla visione nel tempio.

La chiamata è duplice. C’è una prima chiamata «secondo la Legge» (v. 22). È quella di Giuseppe e Maria, che vanno al tempio per compiere ciò che la Legge prescrive. Il testo lo sottolinea quasi come un ritornello, ben quattro volte (cfr vv. 22.23.24.27). Non è una costrizione: i genitori di Gesù non vanno per forza o per soddisfare un mero adempimento esterno; vanno per rispondere alla chiamata di Dio. C’è poi una seconda chiamata, secondo lo Spirito. È quella di Simeone e Anna. Anche questa è evidenziata con insistenza: per tre volte, a proposito di Simeone, si parla dello Spirito Santo (cfr vv. 25.26.27) e si conclude con la profetessa Anna che, ispirata, loda Dio (cfr v. 38). Due giovani accorrono al tempio chiamati dalla Legge; due anziani mossi dallo Spirito. Questa duplice chiamata, della Legge e dello Spirito, che cosa dice alla nostra vita spirituale e alla nostra vita consacrata? Che tutti siamo chiamati a una duplice obbedienza: alla legge – nel senso di ciò che dà buon ordine alla vita – e allo Spirito, che fa cose nuove nella vita. Così nasce l’incontro col Signore: lo Spirito rivela il Signore, ma per accoglierlo occorre la costanza fedele di ogni giorno. Anche i carismi più grandi, senza una vita ordinata, non portano frutto. D’altra parte, le migliori regole non bastano senza la novità dello Spirito: legge e Spirito vanno insieme…L’incontro, che nasce dalla chiamata, culmina nella visione. Simeone dice: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,30). Vede il Bambino e vede la salvezza. Non vede il Messia che compie prodigi, ma un piccolo bimbo. Non vede qualcosa di straordinario, ma Gesù coi genitori, che portano al tempio due colombi, cioè l’offerta più umile (cfr v. 24). Simeone vede la semplicità di Dio e accoglie la sua presenza. Non cerca altro, non chiede e non vuole di più, gli basta vedere il Bambino e prenderlo tra le braccia: “nunc dimittis, ora puoi lasciarmi andare” (cfr v. 29). Gli basta Dio com’è. In Lui trova il senso ultimo della vita. È la visione della vita consacrata, una visione semplice e profetica nella sua semplicità, dove si tiene il Signore davanti agli occhi e tra le mani, e non serve altro. La vita è Lui, la speranza è Lui, il futuro è Lui.

Cari fratelli e sorelle, nel mese di ottobre abbiamo iniziato il cammino sinodale con le tre parole: comunione, partecipazione, missione. Vorrei fermarmi in modo particolare sulla parola partecipazione per invitare ognuno di  noi a fare la propria  parte, a  partecipare, appunto: nessuna, nessuno, si escluda o si senta escluso da questo cammino; nessuna, nessuno pensi “non mi riguarda”. A tutte e a tutti, è chiesto di entrare nel dinamismo di ascolto reciproco. Si tratta innanzitutto di un cammino che interpella ogni comunità nel suo essere espressione visibile di una comunione d’amore, riflesso  della  relazione trinitaria, della sua bontà e della sua bellezza, capace di suscitare nuove energie per confrontarci concretamente con il momento attuale. Se riandiamo alla nostra chiamata vocazionale, ritroviamo la gioia del sentirci ed essere parte di un progetto d’Amore. Quanto entusiasmo agli inizi delle nostre storie vocazionali, quanto stupore nello scoprire che il Signore chiama anche me per realizzare questo sogno di bene per l’umanità! Ravviviamo e curiamo la nostra appartenenza perché, lo sappiamo molto bene, nel tempo rischia di perdere forza, soprattutto quando ci chiudiamo nell’ “io” e perdiamo di vista la forza del “noi”.

La prima declinazione di partecipazione è allora quella dell’appartenenza. Io sono una parte e non il tutto. “L’unità è superiore ai conflitti, sempre”. (Papa Francesco, udienza 19 giugno 201). Mentre percorriamo questo cammino ecclesiale chiediamoci, cari fratelli e sorelle, quale ascolto nelle nostre comunità? Chi sono le sorelle, i fratelli che ascoltiamo e, prima ancora, perché li ascoltiamo?  Una domanda che siamo chiamati a farci tutte e tutti, perché non possiamo dirci comunità di vita consacrata se manca la partecipazione di qualcuna o di qualcuno. Chiediamoci come partecipiamo alla vita di questa Chiesa locale? La viviamo in comunione con il vescovo e il popolo di Dio o ci siamo messi in un angolino per raggiungere i nostri scopi, fare le nostre cose facendo orecchi da mercante anche ai tanti inviti che ci vengono rivolti dal vescovo?  “La vita consacrata nasce nella Chiesa, cresce e può dare frutti evangelici solo nella Chiesa, nella comunione vivente del Popolo fedele di Dio” (Papa Francesco, 11 dicembre 2021.). La partecipazione diventa allora responsabilità: non possiamo mancare, non possiamo non essere tra gli altri e con gli altri, mai e ancor più in questa chiamata a diventare una chiesa sinodale! Sappiamo bene che la sinodalità comincia dentro di noi: da un cambio di mentalità, da una conversione personale, nella comunità o fraternità.

Si tratta di una dinamica incisa nella nostra vita, è come un’eco di quella prima risposta all’Amore del Padre che ci ha raggiunti. Siamo chiamati a stare dentro i processi che riguardano la vita della comunità e di ogni persona, a sentire nella nostra carne le ferite e le attese, a fare quanto ci è possibile a cominciare dal mettere tutto nelle mani di Dio con la preghiera, a non sottrarci alla fatica di testimoniare speranza, disposti a perdere purché si alimenti quel cammino insieme che comincia con l’ascolto, che significa fare posto all’altro nella nostra vita, prendendo sul serio quello che per lui è importante.
La partecipazione assume così lo stile di una corresponsabilità da riferirsi prima ancora che all’organizzazione e al funzionamento della Chiesa, alla sua stessa natura, la comunione, e al suo senso ultimo: il sogno missionario di arrivare a tutti, di avere cura di tutti, di sentirsi tutti fratelli e sorelle, insieme nella vita e nella storia, che è storia di salvezza. Affidiamo i nostri passi a Maria, donna della sollecitudine. Camminiamo insieme, con fiducia nel Signore, luce che illumina le genti. Amen.

 

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