Corpus Domini: Santa Messa e processione eucaristica

Dopo due anni di sospensione a causa del Covid, giovedì 16 giugno è tornata ad Ancona la processione del Corpus Domini per le vie della città. Dopo la celebrazione della Santa Messa, in cui Mons. Angelo Spina ha conferito il mandato a 16 ministri straordinari della comunione che hanno intrapreso un percorso di formazione proposto dall’Ufficio Liturgico, la processione eucaristica è partita dalla Cattedrale di San Ciriaco. Tra canti e preghiere, l’Arcivescovo ha portato il Santissimo Sacramento nelle vie della città, fino alla parrocchia di San Pietro in San Francesco alle Scale, dove c’è stata la benedizione finale. Alla celebrazione e alla processione hanno partecipato tantissimi fedeli, felici di poter vivere nuovamente la processione eucaristica dopo lo stop imposto dall’emergenza covid, le Confraternite del SS. Sacramento, i sacerdoti diocesani e Mons. Adolfo Zon Pereira, vescovo della diocesi dell’Alto Solimoes (Amazzonia), con cui l’Arcidiocesi di Ancona-Osimo ha creato un gemellaggio tre anni fa. All’inizio della celebrazione, Mons. Adolfo Zon Pereira ha ringraziato Mons. Angelo Spina e la diocesi per il sostegno che ha dato la possibilità a tre giovani seminaristi di poter continuare gli studi presso l’lstituto Teologico di Manaus.

L’omelia dell’Arcivescovo Angelo Spina

Cari fratelli e sorelle,
dopo due anni torniamo a celebrare il Corpus Domini nel giorno del giovedì,  come è tradizione consolidata nella nostra Arcidiocesi, anche con la processione eucaristica per le vie della città. Durante il lockdown abbiamo sofferto terribilmente per non poter partecipare fisicamente alla celebrazione della S. Messa e non poter ricevere l’Eucaristia. Essere privati per tanto tempo del pane del cielo, del pane della vita eterna, del corpo del Signore Gesù è stato per noi una grande prova. Ora siamo qui a ringraziare il Signore, che ci invita alla sua mensa per fare di noi un solo corpo, chiesa viva che testimonia al mondo la sua presenza e il suo amore. Questa mattina mi recavo a portare la comunione ad alcuni ammalati durante la Visita pastorale alla parrocchia di S. Michele e ascoltavo queste parole: «Che giornata bella, il Signore viene da me, che gioia riceverlo». Durante questa celebrazione alcuni fedeli uomini e donne riceveranno il mandato come ministri straordinari dell’Eucaristia, preghiamo per loro perché portando Gesù eucaristia agli ammalati configurino sempre più la loro vita a Cristo, via, verità e vita.
Il Vangelo che abbiamo ascoltato mette in risalto i gesti di Gesù nella moltiplicazione dei pani, parole e gesti che ripete nella sua ultima cena in cui istituisce il sacramento dell’Eucaristia. Prese il pane, rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli (Lc 22,19). Possiamo dire che il tutto è nel frammento. In quel semplice e piccolo pezzo di pane è presente il Signore Gesù, è Gesù che si dona a noi. Ci ricordano i vescovi italiani: «Quante cose sa dirci un pezzo di pane! Basta saperlo ascoltare. Purtroppo il pane ci sembra scontato: è talmente “quotidiano” da non attirare il nostro sguardo. Non si apprezza, si usa; non si guarda, si mangia. Lo consumiamo automaticamente, senza badarci».

Gesù prese il pane. Ogni pezzo di pane arriva da lontano: è un dono della terra che ha prodotto il grano. Il contadino lo sa: ara, prepara il terreno, semina, irriga, miete, ma non è lui a produrre quei chicchi nella spiga dorata.
Quando Gesù prende il pane nelle sue mani, accoglie la natura medesima, il suo potere rigenerativo e vitale; e, dicendo che il pane è “suo corpo”, Egli sceglie di inserirsi nei solchi di una terra già spezzata, ferita e sfruttata. Gesù stesso, Pane vero, si fa “sacrificio”, lasciandosi spezzare, affinché l’uomo e l’intero cosmo ritrovino un’armonia possibile e siano insieme trasfigurati nel frutto della redenzione. Gesù si fa dono, abilitando ciascuno di noi a spendersi per custodire la terra, per prendersi cura di un’umanità sofferente.

«Rese grazie…». Gesù, dopo aver preso il pane nelle sue mani, pronuncia le parole di benedizione e rende grazie. È la gratitudine il suo atteggiamento più distintivo, nel solco della tradizione pasquale. Essere grati è, dunque, l’attitudine fondamentale di ogni cristiano, è la matrice che ne plasma la vita; siamo tutti “un grazie che cammina”. Nel cammino sinodale delle chiese in Italia che abbiamo iniziato, facciamo esperienza che l’altro e la sua vita condivisa sono un dono per ciascuno di noi. Ogni giorno viviamo a motivo di ciò che riceviamo: chi non si sente grato diventa ingiusto, gretto, autocentrato e prevaricatore. Chi non è grato non è misericordioso. Chi non è grato non sa prendersi cura e diventa predone e ladro, favorendo le logiche perverse dell’odio e della guerra. Chi non è grato diventa vorace, si abbandona allo spreco, spadroneggia su quanto, in fondo, non è suo ma gli è stato semplicemente offerto. Chi non è grato, può trasformare una terra ricca di risorse, granaio per i popoli, in un teatro di guerra, come tristemente continuiamo a constatare in questi mesi. Milioni di tonnellate di grano vengono lasciate marcire e non date agli affamati della terra, ai poveri, non date per sfamare né per la semina. Una guerra che distrugge la terra e limita la distribuzione del cibo. Siamo tutti a rischio di divenire ingrati e rapinatori; ingrati ed ingiusti. E questo verso la creazione, la società umana e Dio.

«Lo spezzò…». Prendere il pane, spezzarlo e condividerlo con gratitudine ci aiuta, invece, a riconoscere la dignità di tutte le cose che si concentrano in un frammento così nobile: la creazione di Dio, il dinamismo della natura, il lavoro di tanta gente: chi semina, coltiva e raccoglie, chi predispone i sistemi di irrigazione, chi estrae il sale, chi impasta e inforna, chi distribuisce. In quel frammento c’è la terra e l’intera società. Ci fa pensare anche a chi tende inutilmente la sua mano per nutrirsi, perché non incontra la solidarietà di nessuno, perché vive in condizioni precarie: c’è qualcuno che attende il nostro pane spezzato. In particolare, spezzare il pane la domenica, Pasqua della settimana, è per i cristiani rinnovamento ed esercizio di gratitudine, per apprendere a celebrare la festa e tornare alla vita quotidiana capaci di uno sguardo grato. Così, il giorno di riposo, la domenica, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua luce sull’intera settimana e ci incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri.

«Lo diede». Mangiare con altri significa allenarsi alla condivisione. A tavola si condivide ciò che c’è. Quando arriva il vassoio il primo commensale non può prendere tutto. Egli prende non in base alla propria fame, ma al numero dei commensali, perché tutti possano mangiare. Per questo mangiare insieme significa allenarsi a diventare dono. Riceviamo dalla terra per condividere, per diventare attenti all’altro, per vivere nella dinamica del dono. Riceviamo vita per diventare capaci di donare vita. «L’Eucaristia è Gesù stesso che si dona interamente a noi. Nutrirci di Lui e dimorare in Lui mediante la Comunione eucaristica, se lo facciamo con fede, trasforma la nostra vita, la trasforma in un dono a Dio e ai fratelli» (Papa Francesco, Angelus 16 agosto 2015). Torniamo, dunque, al gusto del pane: spezziamolo con gratitudine e gratuità, più disponibili a restituire e condividere.

La nostra chiesa locale di Ancona Osimo è impegnata in questo tempo a promuovere due opere: il restauro della chiesa di S. Biagio dove ogni giorno si terrà l’adorazione eucaristica, cibo per l’anima, perché il Signore venga adorato e glorificato; e la chiesa di S. Stefano, chiusa da quarant’anni a causa della frana, dove si stanno realizzando lavori di consolidamento e di ristrutturazione per creare lo spazio per la sede della nuova mensa Caritas Diocesana Gabriele Ferretti, per i tanti poveri della città, sempre più in aumento, che tendono la mano per un aiuto. Ci auguriamo che entro quest’anno tutto sia completato e operativo. Anche a noi oggi il Signore dice: «Date voi stessi da mangiare».
Cari fratelli e sorelle, continuiamo a celebrare la S. Messa che è il sacrificio di Cristo che si dona con il suo corpo e il suo sangue per la nostra salvezza.  È il tesoro da mettere al primo posto nella Chiesa e nella vita. E nello stesso tempo riscopriamo l’adorazione, che prosegue in noi l’opera della Messa. Ci fa bene, ci guarisce dentro. Soprattutto ora, ne abbiamo veramente bisogno.

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