Solennità di San Ciriaco: Santa Messa presieduta dall’Arcivescovo Angelo Spina

Nella solennità di San Ciriaco, patrono dell’Arcidiocesi di Ancona-Osimo e della città di Ancona, S. E. Mons. Angelo Spina ha presieduto questa mattina, alle ore 10, la celebrazione eucaristica nella Cattedrale, trasmessa in diretta su èTV Marche – Canale 12. Come di consueto, prima della Santa Messa, la sindaca di Ancona Valeria Mancinelli, accompagnata dall’Arcivescovo, ha offerto l’omaggio floreale a San Ciriaco, dopodiché Mons. Angelo Spina ha presieduto la Santa Messa, concelebrata dal vicario generale don Carlo Carbonetti, dal rettore del Duomo don Giuliano Nava e dagli altri sacerdoti della diocesi. All’inizio della celebrazione, l’Arcivescovo ha salutato tutti i presenti, le autorità civili e militari, tra cui il prefetto Darco Pellos e il questore di Ancona Cesare Capocasa.

Per la prima volta è stato suonato e cantato l’inno a San Ciriaco, eseguito dalla Cappella musicale San Ciriaco. Musica e parole dell’Arcivescovo Angelo Spina, armonizzazione del Maestro Tullio Andrioli, direttore della Cappella musicale San Ciriaco. Il testo dell’inno invita a rivolgersi a San Ciriaco affinché guidi i fedeli ad abbracciare la croce di Cristo. Il ritornello infatti recita: “San Ciriaco guidaci tu ad abbracciare la croce gloriosa di Cristo salvatore unica speranza”. Il riferimento alla croce è legato alla storia del santo, perché nell’anno 326 dopo Cristo, aiutò l’imperatrice Elena, madre dell’imperatore Costantino, a trovare la croce di Cristo.

Anche Mons. Angelo Spina, nell’omelia, ha invitato i fedeli «a contemplare la croce di Cristo, segno di salvezza. La croce è fatta di due assi: una verticale e una orizzontale, non possono essere disgiunte e separate, camminano insieme perché procedono da una fonte comune: l’amore. L’amore è, dunque, un unico fuoco con due fiamme inseparabili, l’una che si protende verso Dio, l’altra verso il prossimo, vivente immagine di Dio. Non si può sviluppare la prima senza che correlativamente e contemporaneamente non si sviluppi anche la seconda, e così tutto il fuoco cresca. La testimonianza che oggi ci viene richiesta è la compassione verso tutti, specialmente verso coloro che sono segnati dalla povertà, dalla malattia e dal dolore. Compassione che vuol dire “patire con”. Abbiamo bisogno di una Chiesa che parli fluentemente il linguaggio della carità, idioma universale che tutti ascoltano e comprendono, anche i più lontani, anche coloro che non credono.

Sia questa città di Ancona, città di storia, di cultura, di beati, città viva, porta di Oriente, via della pace, attenta alle nuove povertà, alcune purtroppo, di carattere strutturale.  Tante famiglie non hanno il minimo necessario in termini di beni e di servizi per vivere dignitosamente: cibo, casa, utenze domestiche, lavoro, sanità. È dalla croce di Cristo salvatore che attingiamo la forza e la speranza per un nuovo umanesimo. La politica nasce dalla città, dalla polis, dalla passione concreta per il vivere insieme garantendo diritti e rispettando doveri. Ci sia l’impegno di tutti a promuovere una ecologia ambientale: custodiamo il nostro mare. Questa città ha una particolarità: vede sorgere il sole dal mare e tramontare sul mare. Promuoviamo ogni giorno una ecologia umana con l’apertura agli altri, facendo accoglienza, prendendoci cura gli uni degli altri. San Ciriaco ancora una volta ci guidi ad abbracciare la croce gloriosa di Cristo salvatore, unica speranza, da cui attingere forza per un autentico umanesimo».

Al termine della Santa Messa, sul sagrato della Cattedrale, l’Arcivescovo ha elevato una preghiera a San Ciriaco e ha impartito la benedizione con il reliquiario, contenente un frammento della croce di Cristo e la reliquia del santo. Infine ha ringraziato la sindaca Valeria Mancinelli che è al termine del suo secondo mandato. In segno di ringraziamento per il suo impegno a favore della città, le ha donato una ceramica raffigurante San Ciriaco e il volume che raccoglie gli atti del convegno internazionale dedicato al santo che si svolse ad Ancona nel 2018.

L’OMELIA INTEGRALE DELL’ARCIVESCOVO ANGELO SPINA

Cari fratelli e sorelle, celebriamo oggi la festa del nostro patrono San Ciriaco.  Il suo corpo giunto da Gerusalemme ad Ancona 1600 anni fa, dono di Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, è segno di una presenza viva e di una protezione costante della città e dell’intera Arcidiocesi di Ancona-Osimo. La storia ci rimanda alle vicende vissute a Gerusalemme, all’anno 326 dopo Cristo, quando  Elena, madre dell’imperatore Costantino era alla ricerca della vera croce di Cristo. Un certo Giuda, ebreo, sapeva dove era. Su invito pressante di Elena, Giuda svelò dove era  nascosta la croce, ci fu l’inventio crucis. Giuda si convertì, si fece battezzare e prese il nome di Kuryakos, Ciriaco, che tradotto significa “del Signore”. Fu vescovo di Gerusalemme e non esitò ad affrontare il martirio per rendere testimonianza della sua fede, sotto Giuliano l’Apostata, con la convinzione ferma che gli uomini possono uccidere il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima.

La vita di San Ciriaco ci guida a contemplare la croce di Cristo, segno di salvezza. Forse non ne abbiamo il ricordo vivo, ma quando eravamo piccoli i nostri genitori o i nonni, con il gesto della loro grande mano, hanno accompagnato la nostra piccola mano di bambini lentamente, nel tracciare per la prima volta il segno di croce con le parole, anch’esse scandite lentamente, quasi a voler prendere possesso di ogni istante di quel gesto, di tutto il corpo: «Nel nome del Padre … e del Figlio … e dello Spirito Santo … Amen». Noi non abbiamo altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo (cfr. Gal 6,14).
Il segno di Cristo salvatore toglie ogni presunzione di dire che la salvezza ce la guadagniamo con le nostre forze, che ci salviamo da soli. É il segno che siamo stati salvati da Colui che ci ha amati sino alla fine, sino alla perfezione; che sulla croce, facendo dono della sua vita per noi peccatori, ci ha donato il perdono, la pace, la salvezza, aprendo le porte chiuse del paradiso. La croce di Cristo è la nostra unica speranza. Segno di amore puro, perfetto, grande. Gesù lo aveva detto e lo ha messo in pratica: «Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici».

Dalla croce sgorga la verità senza errore, l’amore senza misura, la vita senza termine. Su di essa Cristo sale volontariamente non per giudicare dall’alto il mondo, ma per donargli la vita (Gv. 12, 47) e per attrarlo tutto a sé (Gv. 12, 32). La croce è lo splendore della verità, perché è lì che risplende l’amore vero, l’amore grande, l’amore di Dio. Sulla croce, con la morte disarmata e perdonante, con la rinuncia a chiamare gli angeli messi dal Padre a sua disposizione (Mt. 26, 53), Cristo non solo proclama che la via della violenza non è la sua via, ma con l’immolazione volontaria di se stesso, realizza e manifesta un amore immenso e inesauribile. Non c’è un amore più grande di questo. La croce è fatta di due assi: una verticale e una orizzontale, non possono essere disgiunte e separate, camminano insieme perché procedono da una fonte comune: «L’amore del Padre, che viene diffuso nel cuore dei credenti, per opera dello Spirito Santo» (Rom. 5, 5). La carità è, dunque, un unico fuoco con due fiamme inseparabili, l’una che si protende verso Dio, l’altra verso il prossimo, vivente immagine di Dio. Non si può sviluppare la prima senza che correlativamente e contemporaneamente non si sviluppi anche la seconda, e così tutto il fuoco cresca. Non c’è più azione dello Spirito Santo, non c’è più vera carità, dove vengono separate le due dimensioni che la croce congiunge insieme.

Non ci si può fermare a forme di misticismo egocentrico, a un compiaciuto adagiarsi in una pace contemplativa, ignara dei problemi del prossimo, indifferente alle sue sofferenze, valgono e varranno sempre le forti espressioni di San Giovanni: «Se uno dicesse: «Io amo Dio, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede.  Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello» (1 Gv. 4, 20-21). D’altra parte, però, è vero anche il contrario: chi non ama Dio, non deve illudersi di amare il prossimo. Lo attesta ancora San Giovanni, scrivendo: «Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti, perché in questo consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi». (1 Gv. 5, 2). L’autenticità cristiana, cioè soprannaturale, della dimensione orizzontale proviene, dunque, dal fatto che essa è sostenuta dalla dimensione verticale. Quando l’amore verso Dio dovesse eclissarsi, quando l’amicizia con la persona di Cristo, invisibile ma realmente vicina, dovesse inaridire, lo zelo per il prossimo, pur nobile che sia, si abbassa al livello di una ideologia terrestre e comincia a lasciare scoperto un vuoto nel cuore, un vuoto che opprime con un senso di solitudine.

Non possiamo assolutamente prescindere dall’aspetto verticale della Parola di Dio che rivela il nuovo intimo rapporto di ogni persona con Dio e ci impone di predicare la salvezza soprannaturale. Il Vangelo non è in primo luogo un messaggio sociale, ma è anzitutto l’annuncio della nostra liberazione dal peccato e dalla morte, mediante la nostra inserzione in Cristo che ci rende compartecipi della vita di Dio e fa di tutti i credenti un solo corpo e un solo spirito in Lui. Ma d’altra parte il Vangelo esige chiaramente, imprescindibilmente, anche l’altra dimensione della croce, quella degli autentici valori sociali, e ce ne impone la predicazione. Dobbiamo, dunque, predicare che il cristiano non può isolarsi in un egoistico godimento dei suoi beni spirituali ed economici, disinteressandosi delle drammatiche condizioni di chi, vicino o lontano, dentro o fuori della Chiesa, è oppresso e soffre per la miseria, la malattia, l’ingiustizia, la disoccupazione o la sottoccupazione, la mancanza d’istruzione umana e religiosa. Diremo a ogni cristiano che è suo dovere impegnarsi, secondo le proprie possibilità, nella costruzione della città temporale, portandovi il suo valido contributo, anzi ispirandovi un’animazione cristiana, perché solo se cristianamente ispirate le realtà terrestri offriranno, con la migliore garanzia di successo, quelle condizioni di giustizia, di libertà e di fraternità che sommamente giovano alla crescita integrale della persona umana. Gesù sulla croce è stato tutto rivolto al Padre e pronto ad abbracciare tutti con il perdono.

Ci ha ricordato di recente Papa Francesco: «Oggi, cari fratelli e sorelle, ci sono tanti “cristi abbandonati”. Ci sono popoli interi sfruttati e lasciati a sé stessi; ci sono poveri che vivono agli incroci delle nostre strade e di cui non abbiamo il coraggio di incrociare lo sguardo; ci sono migranti che non sono più volti ma numeri; ci sono detenuti rifiutati, persone catalogate come problema. Ma ci sono anche tanti cristi abbandonati invisibili, nascosti, che vengono scartati coi guanti bianchi: bambini non nati, anziani lasciati soli, ammalati non visitati, disabili ignorati, giovani che sentono un grande vuoto dentro senza che alcuno ascolti davvero il loro grido di dolore. Gli abbandonati di oggi. I cristi di oggi». (Papa Francesco, Omelia Domenica delle Palme 2 aprile 2023).
La testimonianza che oggi ci viene richiesta è la compassione verso tutti, specialmente verso coloro che sono segnati dalla povertà, dalla malattia e dal dolore. Compassione che vuol dire “patire con”. Abbiamo bisogno di una Chiesa che parli fluentemente il linguaggio della carità, idioma universale che tutti ascoltano e comprendono, anche i più lontani, anche coloro che non credono.

Ho letto su un giornale locale del 9 aprile scorso queste parole: “Vigilia di Pasqua da dimenticare per un somalo di 30 anni circa, che non sapendo dove andare a dormire, per trovare un po’ di riparo dalle temperature rigide di queste notti ha allestito un giaciglio di fortuna nell’androne di un condominio ad Ancona. Un residente ha raggiunto il somalo che stava dormendo avvolto in una coperta e ha iniziato a prenderlo a calci sul costato”. Nello stesso articolo si sottolineava che, successivamente, è stato incontrato da altre persone che si sono prese cura di lui portandogli qualcosa da mangiare e dandogli uno spazio per dormire. Una notizia che ci riporta alla croce di Cristo, di fronte alla quale non possiamo rimanere “laici indifferenti”, ma prendere posizione. Ne vale la nostra salvezza.

Sia questa città di Ancona, città di storia, di cultura, di beati, città viva, porta di Oriente, via della pace, attenta alle nuove povertà, alcune purtroppo, di carattere strutturale.  Tante famiglie non hanno il minimo necessario in termini di beni e di servizi per vivere dignitosamente: cibo, casa, utenze domestiche, lavoro, sanità. È dalla croce di Cristo salvatore che attingiamo la forza e la speranza per un nuovo umanesimo. La politica nasce dalla città, dalla polis, dalla passione concreta per il vivere insieme garantendo diritti e rispettando doveri. Ci sia l’impegno di tutti a promuovere una ecologia ambientale: custodiamo il nostro mare. Questa città ha una particolarità: vede sorgere il sole dal mare e tramontare sul mare. Promuoviamo ogni giorno una ecologia umana con l’apertura agli altri, facendo accoglienza, prendendoci cura gli uni degli altri. Le benemerenze che tra poco verranno conferite a tanti cittadini, che si sono spesi per una città solidale, sono il segno di una grande ricchezza umana e di futura speranza. San Ciriaco ancora una volta ci guidi ad abbracciare la croce gloriosa di Cristo salvatore, unica speranza, da cui attingere forza per un autentico umanesimo. Dal paradiso interceda per noi, ci custodisca e ci protegga. Amen.

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