Venerdì santo: “Dalla Croce nasce la speranza”.

Grande partecipazione di fedeli alla Via Crucis che si è tenuta ad Ancona dalla Cattedrale alla chiesa di S. Francesco alle Scale, presieduta dall’Arcivescovo e animata dai Seminaristi. Ad Osimo si è tenuta la tradizionale processione del Cristo morto con la presenza di una folla di persone assiepata lungo il percorso. Momenti toccanti e sentiti dai fedeli che hanno dato testimonianza della loro fede. Di seguito viene riportata la riflessione dell’arcivescovo Angelo tenuta ad Ancona e ad Osimo.

 

“C’è un giorno dell’anno in cui, per una volta, il centro della liturgia della Chiesa e il suo momento culminante non è l’Eucaristia, ma la Croce; cioè non il Sacramento, ma l’evento, non il segno ma il significato. È il Venerdì Santo. In questo giorno non si celebra la Messa, ma solo si contempla e si adora il Crocifisso. Pur commemorando unitariamente, nella veglia di Pasqua, sia la morte che la Risurrezione di Cristo, come momenti dell’unico mistero pasquale, la Chiesa ha sentito ben presto il bisogno di dedicare alla memoria della Passione un tempo a parte, per mettere in luce l’inesauribile ricchezza di quel momento in cui «tutto fu compiuto». Nacquero così – fin dal IV secolo e a partire da Gerusalemme – i riti dell’adorazione della croce del Venerdì Santo, destinati a esercitare nei secoli un influsso così determinante sulla fede e la pietà del popolo cristiano. È il giorno in cui «rifulge il mistero della croce – fulget crucis mysterium», come canta un antico inno della liturgia.

Il Venerdì Santo è visto come il giorno della morte, ma nello stesso tempo dell’«esaltazione» di Cristo e della sua vittoria sul peccato e sulla sofferenza: giorno di lutto, ma ancor più di gioia. Tutto il Mistero pasquale viene in esso commemorato.

Gesù ha portato nel mondo una speranza nuova e lo ha fatto alla maniera del “seme”: si è fatto piccolo, come un chicco di grano: ha lasciato la sua gloria celeste per venire tra noi, è “caduto in terra”. Ma non bastava ancora. Per portare frutto Gesù ha vissuto l’amore fino in fondo, lasciandosi spezzare dalla morte come un seme si lascia spezzare sotto terra. Proprio lì, nel punto più estremo del suo abbassamento – che è il punto più alto dell’amore – è germogliata la speranza. Se qualcuno di voi domanda: “Come nasce la speranza?” Dalla Croce. Guarda la Croce, guarda il Cristo Crocifisso e da lì ti arriverà la speranza che non sparisce più, quella  che dura fino alla vita eterna.  E questa speranza è germogliata proprio per la forza dell’amore: perché l’amore tutto spera, tutto sopporta (1Cor. 13,7), l’amore, che è la vita di Dio, ha rinnovato tutto ciò che ha raggiunto. Gesù ha trasformato il nostro peccato in perdono, la nostra morte in resurrezione, la nostra paura in fiducia. Ecco perché lì, sulla croce, è nata e sempre rinasce la nostra speranza; ecco perché con Gesù ogni nostra oscurità può essere trasformata in luce, ogni sconfitta in vittoria, ogni delusione in speranza. La speranza supera tutto perché nasce dall’amore di Gesù che si è fatto come il chicco di grano in terra ed è morto per dare la vita e da quella vita piena di amore, viene la speranza.

Ci ha ricordato ieri il Papa, lavando i piedi alle detenute del carcere di Rebibbia:

«Sempre, tutti noi abbiamo piccoli fallimenti, grandi fallimenti. Ma il Signore ci aspetta sempre, con le braccia aperte»

Nel Vangelo di Luca leggiamo: << Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: “Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto”. Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. Sopra di lui c’era anche una scritta: “Costui è il re dei Giudei”.

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”. L’altro invece lo rimproverava dicendo: “Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male”. E disse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”.

Gesù viene messo in croce, i ruvidi chiodi forano le sue mani e suoi piedi; viene insultato, i capi lo deridono, come anche i soldati. Anche uno dei malfattori appeso alla croce lo insulta: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”. Ma l’altro condannato dice: “Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male”. E disse: “Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”.

La  parola di Gesù sulla croce riportata dall’evangelista Luca è una parola di speranza, è la risposta alla preghiera di uno dei due uomini crocifissi con Lui. Il buon ladrone davanti a Gesù rientra in se stesso e si pente, si accorge di trovarsi di fronte al Figlio di Dio, che rende visibile il Volto stesso di Dio, e lo prega: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (v. 42). La risposta del Signore a questa preghiera va ben oltre la richiesta; infatti dice: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (v. 43). Gesù è consapevole di entrare direttamente nella comunione col Padre e di riaprire all’uomo la via per il paradiso di Dio. Così attraverso questa risposta dona la ferma speranza che la bontà di Dio può toccarci anche nell’ultimo istante della vita e la preghiera sincera, anche dopo una vita sbagliata, incontra le braccia aperte del Padre buono che attende il ritorno del figlio.

 

Può l’errore diventare un’occasione per lasciare spazio all’amore? Sì, se da un lato c’è un cuore ferito pronto a ricevere il perdono e dall’altro c’è un cuore accogliente, come quello di Dio, pronto ad alimentare la speranza. La storia del buon ladrone, è proprio questa: l’incontro di un’umanità consapevole dei propri errori con un Dio che ci viene a cercare dentro la morte. Questo “testimone dell’ultimo momento”, infatti, rappresenta l’icona di coloro che alzano lo sguardo a Dio nell’istante finale, dando voce a quella scintilla d’amore che hanno sempre avuto dentro di sé ma che hanno sempre fatto tacere. Quel «ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» è di fatto la preghiera essenziale ma profonda, di un uomo che finalmente ha trovato la Verità. Le parole del ladrone sul Calvario sono quelle dell’umanità intera che invoca la misericordia di Dio. Quello che a tutti appare come un grido di disperazione, in realtà è la voce di una conversione. A questo frammento di speranza nell’ora più buia, però, fa da contraltare l’atteggiamento dell’altro condannato, che nemmeno nel momento dell’ultimo respiro riesce ad accogliere il perdono. A ognuno di noi ogni singolo giorno della nostra esistenza sta la scelta: essere fiducioso come il buon ladrone che si affida o come il cattivo ladrone disperato?

Oggi davanti al mistero della croce chiediamo perdono a Gesù, come ci ha ricordato papa Francesco ieri con queste parole: «Gesù perdona tutto, Gesù perdona sempre. Soltanto chiede che noi chiediamo il perdono. – Dice il papa -Una volta ho sentito una vecchietta, saggia, una donna del popolo, ha detto così: “Gesù non si stanca mai di perdonare, siamo noi a stancarci di chiedere perdono”». «Chiediamo oggi al Signore la grazia di non stancarci di chiedere perdono. Sempre, tutti noi abbiamo piccoli fallimenti, grandi fallimenti: ognuno ha la propria storia. Ma il Signore ci aspetta sempre, con le braccia aperte, e non si stanca mai di perdonare».

Il Signore Gesù continuamente intercede per noi (cf Eb 7,25), e guardando il nostro mondo violento, il nostro mondo ferito, non si stanca mai di ripetere: “Padre, perdonali, perchè non sanno quello che fanno”.

Davanti alla Croce, dal nostro cuore salga la preghiera: “Grazie Signore Gesù, ti adoro e ti benedico, perché con la tua santa croce hai redento il mondo”. Amen”.