Le ACLI hanno festeggiato il 1° maggio all’Aspio Terme di Camerano

Il primo maggio, presso lo stabilimento Terme all’Aspio di Camerano, si è tenuta la festa dei lavoratori e lavoratrici con riflessioni su: lavoro, pace, dignità. Tantissime le persone che hanno partecipato all’evento. All’incontro sono stati presenti anche il Presidente nazionale delle ACLI, Emiliano Manfredonia e i Presidenti delle ACLI delle Provincie delle Marche. Le ACLI hanno assegnato il premio “Bruno Regini – Cultura per la solidarietà” al professore Roberto Mancini, docente universitario, per l’impegno delle ACLI a promuovere la pace nel campo della cultura. Presenti alla festa anche il Sindaco di Camerano, altre autorità e il Direttore dell’Ufficio diocesano della pastorale del lavoro e dei problemi sociali, Alessio Giorgetti.  Dopo gli interventi è seguita la celebrazione della S. Messa presieduta da Mons. Angelo Spina, concelebranti il parroco di Camerano, don Aldo, don Lorenzo, don Ludovico.

Di seguito viene riportata l’omelia dell’Arcivescovo:

“La festa liturgica di san Giuseppe in questa data del 1° maggio è una festa voluta dal papa Pio XII, che l’annunciò proprio in questo giorno del 1955 guardando – come disse nell’affollata piazza san Pietro – all’umile artigiano di Nazareth che impersona presso Dio e la Chiesa non solo la dignità del lavoratore, ma anche il provvido custode loro e delle loro famiglie. Papa Francesco, nella lettera Patris corde (8 dicembre 2020), ha scritto: «In questo nostro tempo, nel quale il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale e la disoccupazione raggiunge talora livelli impressionanti, anche in quelle nazioni dove per decenni si è vissuto un certo benessere, è necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità e di cui il nostro Santo è esemplare patrono» (n. 6).

Oggi, l’’ascolto della Parola del Signore, la preghiera, l’eucaristia celebrata,  possono renderci più attenti, più sensibili, più impegnati nei confronti di tutti i lavoratori e lavoratrici. Dal Vangelo che abbiamo ascoltato (cf. Mt 13,54-58) possiamo cogliere tre domande che i conterranei si ponevano riguardo a Gesù. Tre domande che nell’animo del Signore provocarono certamente amarezza, ma che per noi diventano senz’altro motivo di riflessione e di stimolo ad un maggiore impegno cristiano. Eccole: Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? Sua madre, non si chiama Maria? Cerchiamo di rispondervi brevemente. Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? La domanda potrebbe avere significati diversi, ma io preferisco portare la mia e la vostra attenzione sull’unione di questi due termini: «sapienza e prodigi», parola intelligente e profonda e opere coerenti che ci provocano, ci danno da pensare! È la coerenza, l’unione fra queste due cose: la parola e l’azione, la cosa meravigliosa. Quanto spesso nella vita comune e magari anche in noi, talvolta, queste due realtà le troviamo sconnesse, incoerenti, isolate. Per un verso tante, molte parole… Una vecchia canzone diceva: “parole, parole, parole, soltanto parole”. Quanto a «opere», al contrario, nulla. In Gesù, invece, le parole erano confermate dalle opere che, a loro volta, spiegavano le parole.  «In Gesù, la parola ha autorità, Gesù è autorevole. E questo tocca il cuore.  L’insegnamento di Gesù ha la stessa autorità di Dio che parla» (Papa Francesco). Nella sua coerenza tra parole e opere, Gesù era credibile. È l’altro aspetto dell’autorevolezza di Gesù: gli possiamo dare retta, possiamo avere fiducia in lui. Gesù non è il «parolaio» del commercio, della pubblicità e, purtroppo, non poche volte anche della politica, che a volte fa solo parole e promesse vuote.  Di Gesù possiamo fidarci e a lui possiamo affidarci. Possiamo fidarci di Gesù perché non ci ha soltanto parlato e lasciato degli insegnamenti, ma per noi ha dato la vita. Egli è morto e il Padre, risuscitandolo, ce lo ha ridonato perché possiamo non soltanto vivere di lui, ma anche come lui. Non è costui il figlio del falegname?  Questa è la seconda domanda che i suoi conterranei ponevano riguardo a Gesù. Una volta il lavoro manuale era molto apprezzato al punto che quanti lo praticavano erano chiamati artigiani: parola imparentata con l’arte ed a ragione! Oggi, invece, per noi «artista» può esserlo solo un cantante, un pittore, uno scultore, un attore … e se sei il figlio di una persona famosa, allora lo sei anche tu e tutti ti van dietro, ti fotografano, t’intervistano, ti portano in TV! Gesù, al contrario, era solo «il figlio di un falegname»! Cosa pensare? Cosa dire? Viene evocata la dignità del lavoro, di qualsiasi lavoro. Perché non è tanto come si dice: “il lavoro nobilita l’uomo”, ma che è l’uomo che rende nobile il lavoro, qualsiasi esso sia. Sua madre, non si chiama Maria? È la terza domanda. La Madre di Gesù è Maria, sposa di Giuseppe. «La grandezza di San Giuseppe consiste nel fatto che egli fu lo sposo di Maria e il padre di Gesù. In quanto tale, “si pose al servizio dell’intero disegno salvifico”» (Patris corde, n. 1).  Maria, nella sua umiltà,  è colei che lavora in casa, artigiana della vera pace, nelle piccole cose di ogni giorno, nel lavoro di casalinga. In questa giornata mentre ricordiamo tutte le lavoratrici e lavoratori, il nostro pensiero va a quanti sono morti sul lavoro e in modo particolare alle vittime a causa dell’incidente alla centrale idroelettrica di  Suviana. Quale la nostra riflessione? «Una strage da non ripetere»  « Il lavoro non può diventare morte, ne vale la dignità delle persone e la fedeltà alla Costituzione. La sicurezza non è un costo, non è un lusso ma è un dovere, un diritto inalienabile per ogni persona. La sicurezza richiede investimenti: quando è vista come un costo inutile, vuol dire che siamo irresponsabili » (Ha ricordato il cardinale Zuppi ). «Questa tragedia impone serietà nelle parole e ognuno di noi faccia la sua parte. «Serve molta più attenzione alla sicurezza sul lavoro e dobbiamo farla più che dirla. Muoiono tre persone al giorno, bisogna fare di più. La logica del solo profitto porta al ribasso e spesso le voci sacrificate sono i lavoratori». «La Chiesa è preoccupata delle condizioni dei lavoratori, perché al centro ci sono le persone. Tutte. Nel recente documento “Dignitas infinita” del Dicastero per la Dottrina della Fede, è scritto: “La povertà si diffonde in molti modi, come nell’ossessione di ridurre i costi del lavoro, senza rendersi conto delle gravi conseguenze che ciò provoca, perché la disoccupazione che si produce ha come effetto diretto di allargare i confini della povertà. Tra questi effetti distruttori dell’Impero del denaro, si deve riconoscere che non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro”». « La sicurezza è parte integrante della persona, siamo esseri umani, non macchine ed è un dovere e un diritto inalienabile di ogni persona».

Tra le conseguenze del mancato investimento sulla sicurezza nei luoghi di lavoro vi è anche l’aumento degli infortuni. Davanti a questa mentalità abbiamo bisogno di ricordare che la vita non ha prezzo. La salute di una persona non è scambiabile con qualche soldo in più o con l’interesse individuale di qualcuno. E bisogna purtroppo aggiungere che un aspetto della cultura dello scarto è la tendenza a colpevolizzare le vittime. Ciò è segno della povertà umana in cui rischiamo di far cadere le relazioni, se perdiamo la retta gerarchia dei valori, che ha in cima la dignità della persona umana”.

A san Giuseppe, rivolgiamo adesso le parole della preghiera composta dal Papa: «Salve, custode del Redentore e sposo della Vergine Maria, mostrati padre anche per noi, guidaci nel cammino della vita, ottienici grazia, misericordia e coraggio, e difendici da ogni male. Amen»”.

 

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