La Chiesa locale di Ancona-Osimo ha partecipato al convegno diocesano “Convertire la catechesi e…”, organizzato sabato 14 settembre nella parrocchia San Michele Arcangelo. I catechisti, i giovani, le famiglie e i parroci hanno ascoltato l’intervento di don Emanuele Piazzai, direttore dell’Ufficio catechistico regionale delle Marche, che ha indicato alcuni aspetti cardine per convertire la catechesi.
Il mondo in cui viviamo è cambiato ed è oggi urgente cambiare il modo di trasmettere la fede. Come hanno infatti sottolineato Mons. Angelo Spina e il direttore dell’Ufficio catechistico diocesano don Sauro Barchiesi, negli ultimi anni a seguito del nuovo Direttorio per la Catechesi (DpC), pubblicato nel 2020 dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, la diocesi si è impegnata a coglierne le novità e ad aprire un confronto sulla prassi pastorale nella nostra Chiesa. È emerso che è necessario un ripensamento sull’impianto generale della catechesi. La diocesi ha così attivato un ascolto a tutti i livelli coinvolgendo catechisti, genitori, presbiteri, comunità e ragazzi e ha poi elaborato un documento che è stato consegnato alla Chiesa locale l’11 maggio, dal titolo “Il cammino della fede, chiamati dal Signore Gesù per seguirlo. – Scelte pastorali per l’annuncio e la catechesi – Itinerari per l’Iniziazione Cristiana”.
Come si legge nel documento: «La priorità è permettere a tutti di incontrare Gesù. Oltre che accompagnare in questo annuncio i più piccoli, è necessario ritrovare il coraggio della missione per accostarci con più slancio ai tanti adulti e giovani che hanno smarrito la via della fede o non l’hanno ancora trovata e accompagnarli per riascoltare il Signore che propone loro la misericordia del Padre. È questo il punto di partenza e il fondamento per una rinnovata mentalità da maturare nelle nostre comunità, sia per la catechesi come per ogni attività pastorale, perché l’annuncio passa anche mediante la vita liturgica e le opere di bene che testimoniano l’amore di Dio Padre per ogni persona».
Don Emanuele ha così spiegato perché occorre convertire la catechesi, sottolineando che «è cambiato il mondo, il contesto in cui viviamo. Prima il modello di trasmissione della fede si reggeva su tre grembi generatori della fede: famiglia, scuola e paese. La parrocchia non aveva il compito di generare alla fede, ma di nutrirla, curarla e renderla coerente. Oggi questi tre grembi sono venuti meno e la conseguenza è che abbiamo caricato tutto il peso del generare alla fede sull’ora del catechismo. Per questo non dobbiamo cambiare il Vangelo, ma il nostro modo di trasmetterlo, perché questo va sempre tarato sul contesto. Il problema è di inculturazione della fede. Come indica Papa Francesco è necessaria una nuova evangelizzazione».
Don Emanuele ha poi indicato alcuni aspetti cardine per convertire concretamente la catechesi, facendo riferimento al documento diocesano, e ha condiviso alcune domande per la riflessione:
1. Tutta la comunità
Se ne parla da tanto: spesso si pensa che voglia dire solo un dividersi i compiti tra tutti (“io faccio l’incontro di catechismo, tu gli fai fare le prove del coro, tu invece gli fai vivere l’esperienza di carità etc..). Il vostro progetto ha intuito che, forse, la questione è un’altra: “Offrire un ambiente reale e non solo ideale della vita cristiana”. Vuol dire che la comunità diventa una casa, dove al centro c’è una vita. Questo è il primo punto per convertire la catechesi: la vita cristiana si respira, si trasmette per osmosi: allora tutto diventa annuncio. Questo è il primo passo: che la comunità diventi una casa in cui ti puoi immergere in una vita diversa (i giovani ci insegnano che l’accento non è prima di tutto sul fare, ma sull’essere). L’immagine che consegno è quello della locanda: è una casa sempre aperta sia per entrare che per uscire. Rischio oggi: voler trattenere a tutti i costi (così la comunità non è una casa, ma un parcheggio). La vera domanda è non tanto come farli rimanere, ma “come rimangono quelli che rimangono”?
1º domanda su cui riflettere: La tua comunità è una casa? E se sì, per chi? Solo per i vicini, o anche per i più lontani? Che vita si respira? Domanda non secondaria: come sono i suoi ambienti? Sembrano quelli di una casa, di una scuola di un’azienda o di una “catapecchia”?
2. Relazioni
Occhio a un inganno: pensare che le relazioni preparano l’annuncio (cioè che prima stiamo un po’ insieme e poi arriva il momento serio). No. Le relazioni sono già annuncio. Vuol dire che se hai il Signore nel cuore, Lui si servirà delle tue relazioni, a volte anche senza che te ne accorga. Come sono le relazioni che evangelizzano? Il vostro Progetto dà alcune pennellate. Sono relazioni che:
–Ascoltano. Noi vogliamo sempre dare risposte. Il problema è che ci dimentichiamo di ascoltare le domande. Perché la gente fugge? Perché ciò che dici non li riguarda. Hanno altre domande nel cuore.
–Usano i gesti. Quanto li usiamo poco. Sempre e solo parole, spesso usate male: una bulimia della parola. E invece la vita e la fede hanno dei gesti bellissimi: il bacio, l’abbraccio, la carezza, l’unzione, il vestirsi, etc…
–Accompagnano. Che significa? Che non ci sono scelte prestabilite o automatiche: ognuno ha il suo passo (il male di un accompagnamento è quando io decido i tempi per te). È un lavoro artigianale quello della catechesi, non di “polli in batteria”.
2º domanda su cui riflettere: quando fai catechesi (per ogni fascia di età), che tipo di relazioni vivi? Gratuite o funzionali? Come puoi “convertire” le relazioni nella catechesi?
3. Kerigma
Evangelii Gaudium parla sempre di questo, ma che cosa vuol dire annunciarlo oggi? In sintesi: il Signore è una presenza. La catechesi kerigmatica è una catechesi che ti aiuta a scoprire come il Signore è presente nella tua storia, come l’ha salvata, e come può rendertela piena. Chi fa questo? Chi l’ha vissuto (come dice don Paolo Asolan: “Nessuna strategia sarà tanto decisiva quanto l’averlo incontrato”). Quel contenuto è importante perché riguarda la mia storia.
3º domanda su cui riflettere: Cosa hai trasmesso finora? Qualcosa o una Presenza? Quanto è entrata in gioco la tua storia nella tua catechesi?
4. Un cammino integrato
Al n.52 di Incontriamo Gesù ci viene detto il futuro, ovvero l’ispirazione catecumenale: ascolto della Parola, introduzione alla dottrina della Chiesa, celebrazione della Grazia, condivisione della fraternità ecclesiale, testimonianza di vita e di carità nella comunità. Vorrei però riflettere su una questione: tutti questi aspetti sono veri e giusti, e noi finora li abbiamo intesi come se ogni aspetto fosse un appuntamento. E se invece fossero gli ingredienti di un’unica esperienza? Si può trovare una modalità di catechesi che metta insieme questi ingredienti? Perché gli ingredienti sono giusti, il problema è: come assemblarli? Il rischio è di fare un piatto squilibrato.
4º domanda su cui riflettere: Come intrecciare gli ingredienti che sono indicarti anche da “Incontriamo Gesù” in un’unica proposta?
5. I tempi dei percorsi
Vorrei dire una parola sui famosi “passaggi” (perché chiama in gioco l’annosa questione delle età dei sacramenti): se la conversione è quella del modello catecumenale, allora vuol dire che nessun passaggio è automatico, ma va fatto un discernimento caso per caso. Se questo è vero, i sacramenti non possono più avere un’età automatica in cui riceverli.
5º domanda su cui riflettere: Come immaginare un percorso per passare da un sacramento “automatico” a un sacramento scelto?
6. I linguaggi
Il problema è comunicativo. Il problema è che i tre soggetti della comunicazione non si incontrano più: Vangelo, annunciatore, destinatario. Si tratta di trovare una modalità che li faccia incontrare di nuovo. La Chiesa ne ha una, da sempre, che il Sinodo ha riscoperto: la narrazione. In cosa consiste? Si tratta di intrecciare insieme le tre storie (il Vangelo, la mia storia, e quella di chi ho davanti). Se manca una di queste, la comunicazione fallisce. Significa scoprirsi dentro una storia comune, più grande di noi, guidata e amata, e avere il desiderio di poterla condividere con qualcuno: “Quello che ho scoperto è diventata la mia storia, e ascoltandoti ho visto che è anche la tua”.
6º domanda su cui riflettere: Che linguaggi usi nelle tue catechesi abitualmente? Funzionano?
Al termine dell’intervento, i presenti si sono divisi in gruppi e hanno riflettuto sulle domande poste da don Emanuele. Infine l’Arcivescovo ha ringraziato tutti i presenti e il convegno si è concluso con la preghiera.
Fotogallery
Di seguito si può ascoltare l’intervento di don Emanuele Piazzai e da qui scaricare il file audio: