Veglia di Pentecoste ad Ancona: una Chiesa che si fa grembo di pace, giustizia e speranza

C’è stato un momento preciso, nella Cattedrale di San Ciriaco, in cui non era più possibile distinguere chi stava celebrando e chi era celebrato. Il limite tra il presbiterio e la navata sembrava sciogliersi nel canto di un popolo radunato per invocare lo Spirito: uomini e donne, giovani e anziani, provenienze diverse, storie personali che si sono fatte Vangelo vissuto, carne viva. Una Pentecoste vera, concreta, quasi tangibile.

A presiedere la veglia, Sua Eccellenza Mons. Angelo Spina, pastore che da sempre ha scelto il passo lento ma sicuro della vicinanza. Ha accolto l’assemblea con parole semplici, ma forti, come chi conosce il valore delle cose essenziali. Ha scelto di stare “con” e non “sopra”, in una liturgia che più che un rito è stata un abbraccio.

Ci sono momenti in cui la testimonianza vale più di mille omelie. Così è stato quando a parlare sono stati i “testimoni della Pentecoste”. Nessuna teoria, ma esperienze scolpite nella fatica e nella bellezza del quotidiano.

La voce rotta ma salda della madre di Riccardo ha raccontato non solo la storia di suo figlio, ma quella di un’intera comunità che ha scelto di non scartare. Riccardo lavora oggi assieme a tanti ragazzi con disabilità nel biscottificio sociale “Frolla” di Osimo. Non un’occupazione come ripiego, ma come riscatto: «Qui non si fanno solo biscotti – ha detto la madre – si impasta la dignità, si cuoce la gioia, si sforna il futuro».

Accanto a lei, la narrazione appassionata e discreta di un volontariato che da vent’anni entra in carcere, portando non soluzioni, ma ascolto. Andrea ha ricordato: «Il carcere è il luogo del fallimento. Ma è lì che lo Spirito ci sorprende, ci costringe a rivedere tutto. Lì dentro si impara il Vangelo a memoria, non perché lo si studia, ma perché lo si tocca».

E poi la voce di Mohieldin, un giovane Sudanese arrivato ad Ancona grazie a quel piccolo seme di speranza che è il “corridoio universitario“. Il suo racconto ha attraversato le frontiere della geografia e del pregiudizio. «Quando sono arrivato – ha detto – avevo una valigia piena di sogni e paure. Ora studio qui. È come se lo Spirito mi avesse preso per mano e mi avesse detto: “Non sei solo, cammina”».

Nell’omelia, Mons. Angelo Spina ha tessuto parole forti e profetiche, tracciando la mappa di un cammino che la Chiesa è chiamata a compiere oggi, nel tempo del disorientamento e della guerra. «La pace – ha detto – non è un sogno lontano, ma un dovere quotidiano. Tornerà solo se impariamo a camminare insieme. Non una unità di facciata, ma una sostanziale comunione tra i popoli, tra le Chiese, tra le persone». E ha rilanciato le parole di Papa Francesco: «Il primo segno di speranza si traduca in pace nel mondo, un mondo lacerato dalla guerra. Il Giubileo deve ricordare a me e a voi, come a tutti, di essere operatori di pace».

Centrale, nella riflessione del Vescovo, il ruolo dello Spirito Santo. «È Lui che all’inizio aleggiava sul caos – ha ricordato – e che oggi continua a generare ordine, armonia, fraternità». Con un’espressione densa, ha detto: «Lo Spirito è l’amore che unisce l’Amato e l’Amante e ci fa essere un solo corpo, popolo di Dio in cammino». Poi, un affondo teologico e poetico: «All’inizio della creazione – ha detto – lo Spirito aleggiava sul caos. Anche oggi aleggia sulle nostre disgregazioni. Pentecoste non è solo la nascita della Chiesa. È la continuazione della creazione. Dove lo Spirito soffia, tutto si rinnova».

Quello che si è vissuto nella serata di sabato 7 giugno non è stato semplicemente un evento liturgico, ma un atto ecclesiale profondo. Una Chiesa che non parla solo “di” Spirito, ma lo lascia agire. Una Chiesa che non organizza, ma accoglie. Che non divide tra movimenti e istituzioni, ma che si riconosce “un solo corpo”. La veglia non è stata «delle Associazioni», ha ribadito l’Arcivescovo, ma dell’intera Chiesa locale. Come dire: non esistono categorie privilegiate. Esiste solo una comunità che, radunata nel nome di Cristo, si lascia infiammare dal Fuoco dello Spirito.

Alla fine, mentre i canti si facevano benedizione e le luci si abbassavano lentamente, restava un’impressione netta: questa Chiesa, qui ad Ancona, non è stanca. È solo all’inizio di un nuovo soffio. E forse, davvero, lo Spirito aleggia ancora. Sul caos, sulle nostre fragilità, sulle nostre città. E chi ha occhi per vedere e orecchi per sentire, sa che quella brezza leggera è la sola che può cambiare le cose.

di Paolo Scarabeo

L’omelia di S. E. Mons. Angelo Spina: Omelia veglia di Pentecoste

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