Quattrocentotrenta persone dell’Arcidiocesi di Ancona-Osimo e della Diocesi di Jesi, con un treno speciale, si sono recate a Roma per vivere il Giubileo diocesano. Una marea di cappellini arancione ha colorato la stazione. Partendo all’una del mattino del 20 settembre, i pellegrini sono stati salutati dall’Arcivescovo Angelo e dal Vescovo Paolo, che hanno dato il via al pellegrinaggio con la preghiera di inizio e camminando con loro. Giunti a Roma, alla stazione di San Pietro alle ore 6, sono stati accolti dalla parrocchia di S. Gregorio VII dove il Vescovo di Jesi Paolo Ricciardi ha presieduto la celebrazione penitenziale a cui sono seguite le confessioni individuali con oltre venti sacerdoti. Alle 9.30 è iniziato il cammino a piedi fino a Piazza San Pietro, la fila sembrava non finire. La piazza si è mostrata con tutta la sua bellezza ad accogliere i tanti pellegrini, compresi quelli venuti da ogni parte del mondo per il Giubileo degli amministratori di giustizia. L’arrivo del santo Padre alle ore 12.30 ha fatto elevare un forte appaluso. Il Papa ha tenuto il suo discorso dicendo «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati» (Mt 5,6). Con questa beatitudine il Signore Gesù ha voluto esprimere la tensione spirituale a cui è necessario essere aperti, non solo per ottenere una vera giustizia, ma soprattutto per ricercarla da parte di quanti la devono realizzare nelle diverse situazioni storiche.
Al termine del discorso i Vescovi hanno potuto salutare il Papa. Anche i sacerdoti di Ancona e Jesi sono stati ammessi al baciamano con la grande emozione dei due diaconi David e Jacopo che hanno detto al Papa di pregare per loro in quanto sabato 27 settembre verranno ordinati presbiteri. È iniziata la lunga fila, sotto il sole, per attraversare la porta santa. È stato un vero cammino penitenziale a passo lento, con lunghe soste, con la preghiera e la gioia di attraversare la porta santa della Basilica. È seguita la celebrazione della Santa Messa dall’altare papale della Confessione, presieduta dall’Arcivescovo Angelo con migliaia di pellegrini, concelebrata dal Vescovo di Jesi Paolo, da quello di Cerreto Giuseppe e dai tanti sacerdoti. La celebrazione è stata animata dai cori di Ancona, Jesi e sant’Agata. Un momento di grazia per tutti. Al termine i pellegrini, a piedi si sono recati alla stazione di San Pietro per far ritorno a Jesi e ad Ancona nel buio della notte. È stato un pellegrinaggio carico di fede, di speranza con un cuore aperto alla misericordia di Dio per essere strumenti di misericordia, di pace e di bene. La stanchezza e le difficoltà non sono mancate, ma grazie alla regia di don Dino, di don Lorenzo, di don Samuele e di tanti collaboratori è andato tutto bene. I fedeli accompagnati dai loro Vescovi hanno potuto sperimentare che la speranza non delude e i doni giubilari ricevuti vanno ridonati sul paradigma del buon samaritano.
Di seguito l’omelia tenuto dall’ Arcivescovo Angelo durante la celebrazione nella Basilica di San Pietro.
«Cari fratelli e sorelle,
siamo qui, pellegrini di speranza, a rendere grazie a Dio Padre, per mezzo del Suo Figlio Gesù Cristo, nello Spirito Santo, per il dono di questo pellegrinaggio in questo Anno santo. Nella parabola del seminatore abbiamo ascoltato: “Ecco, uscì il seminatore a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un’altra cadde fra i sassi, dove non c’era molta terra, e subito spuntò perché non c’era un terreno profondo; ma quando si levò il sole, restò bruciata e, non avendo radice, si seccò. Un’altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto. E un’altra cadde sulla terra buona, diede frutto che venne su e crebbe, e rese ora il trenta, ora il sessanta e ora il cento per uno”. E diceva: “Chi ha orecchi per intendere intenda!”. Bella questa parabola che ci invita a riflettere sulla nostra vita in cui Dio semina sempre nonostante le condizioni in cui ci troviamo che possono essere sassose, spinose, di strada o di terreno buono. La semina di Dio non è fatta perché noi siamo buoni o bravi, ma è fatta dalla sua bontà per arricchirci sempre, ponendo in noi fiducia. La fede è iniziativa del seminatore che getta il seme della Parola. Nella nostra vita interiore è sempre Dio a partire per primo. La nostra fede è risposta a un’iniziativa, è accoglienza, è conversione nel senso di renderci conto di qualcuno che ci guarda. E ci ama. Chi di voi seminerebbe in mezzo ai sassi? Chi di voi sprecherebbe del seme gettandolo sull’asfalto? Dio lo fa. Ma: che terreno siamo? Non basta accogliere la Parola con entusiasmo e poi, subito cambiare idea, non possiamo lasciarci sopraffare dalle angustie e preoccupazioni della vita che soffocano e impediscono la crescita, non possiamo lasciarci rubare la ricchezza della Parola da chi con abilità e destrezza ce la porta via. È bello allora chiedere al Signore che non si stanchi di seminare nella nostra vita con tutte le sue criticità perché porti frutti di speranza.
In questo pellegrinaggio stiamo toccando con mano che la misericordia di Dio è per sempre, è eterna (cf Sal 117), attraverso i tre segni peculiari del giubileo: il pellegrinaggio, la porta santa e l’indulgenza. Ci siamo messi in cammino dalle nostre case, dalle nostre periferie esistenziali, ma il pellegrinaggio fatto è soprattutto un cammino interiore. La sollecitazione al cammino è data da Dio Padre che aspetta sempre sull’uscio aperto della casa (cf Lc 11,32). Dio aspetta, ci viene incontro, si fa trovare. L’incontro con il Padre ci porta a un cambiamento interiore che va dal non giudicare e non condannare al perdonare e donare; dalla chiusura del cuore e dalla indifferenza all’aprire gli occhi sul mondo, sui fratelli; dalla ipocrisia e dall’egoismo alle opere di misericordia corporale e spirituale. Nei poveri, nei deboli, nei piccoli incontriamo Lui (cf Mt 25,35-45) che, forse, non abbiamo scoperto altrove.
Il secondo segno è l’aver attraversato la Porta Santa di questa Basilica di San Pietro, la Porta della Misericordia. Attraversandola, abbiamo avvertito il peso dei nostri peccati, ma soprattutto l’abbraccio del Padre che ci ha accolti. Quante lacrime tra quelle braccia, asciugate con tenerezza dal Padre, ricco di misericordia! E abbiamo fatto ancora una volta l’esperienza che Dio non si stanca mai di perdonare, anche se noi ci stanchiamo di chiedere perdono e che la misericordia è l’architrave della Chiesa. La Porta Santa della Basilica di San Pietro è aperta come a rivolgere a tutti e a ciascuno l’invito ad aprire la porta del proprio cuore per accogliere la misericordia di Dio, il Suo infinito amore che sempre previene, anticipa, che salva ogni persona, anche se appesantita dai propri peccati, per poter essere misericordiosi come Lui che tutti cerca, a tutti va incontro e tutti accoglie.
L’indulgenza è arrivata a noi come grazia, come dono. Il perdono di Dio per i nostri peccati non conosce confini, Dio è sempre disponibile al perdono. Ma nonostante il perdono, nella nostra vita portiamo le contraddizioni che sono conseguenza dei nostri peccati. Dio, dunque, perdona i peccati, ma resta in noi “l’impronta negativa”, le conseguenze che i peccati lasciano nei comportamenti e nei pensieri. Con un’immagine potremmo dire che il peccato è come un chiodo nel cuore, la confessione toglie il chiodo e l’indulgenza chiude la ferita. L’ indulgenza che Dio ci dona, raggiunge il peccatore perdonato e lo libera da ogni residuo della conseguenza del peccato, abilitandolo ad agire con carità, a crescere nell’amore piuttosto che ricadere nel peccato. Dio usa misericordia e abilita a “fare misericordia”.
Sulla tomba dell’Apostolo Pietro abbiamo fatto la nostra professione di fede. Gesù morto e risorto è il cuore della nostra fede. La speranza cristiana consiste proprio in questo: davanti alla morte, dove tutto sembra finire, si riceve la certezza che, grazie a Cristo, alla sua grazia che ci è stata comunicata nel Battesimo, «la vita non è tolta, ma trasformata», per sempre. Nel Battesimo, infatti, sepolti insieme con Cristo, riceviamo in Lui risorto il dono di una vita nuova, che abbatte il muro della morte, facendo di essa un passaggio verso l’eternità. Cosa sarà dunque di noi dopo la morte? Con Gesù al di là di questa soglia c’è la vita eterna, che consiste nella comunione piena con Dio, nella contemplazione e partecipazione del suo amore infinito. Quanto adesso viviamo nella speranza, allora lo vedremo nella realtà. Cosa caratterizzerà dunque tale pienezza di comunione? L’essere felici. La felicità è la vocazione dell’essere umano, un traguardo che riguarda tutti.
Ma che cos’è la felicità? Quale felicità attendiamo e desideriamo? Non un’allegria passeggera, una soddisfazione effimera che, una volta raggiunta, chiede ancora e sempre di più, in una spirale di avidità in cui l’animo umano non è mai sazio, ma sempre più vuoto. Abbiamo bisogno di una felicità che si compia definitivamente in quello che ci realizza, ovvero nell’amore, così da poter dire, già ora: «Sono amato, dunque esisto; ed esisterò per sempre nell’Amore che non delude e dal quale niente e nessuno potrà mai separarmi». Ricordiamo ancora le parole dell’Apostolo: «Io sono […] persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,38-39). Pellegrini di speranza, apriamo il nostro cuore ai fratelli con i segni dell’amore, siamo in ogni luogo artigiani della pace.
Cari fratelli e sorelle, questo per noi è giorno di gioia, è giubileo, perché il Signore ci ha colmanti della sua misericordia. “Non dobbiamo temere le nostre miserie: ognuno di noi ha le proprie. La potenza d’amore del Crocifisso non conosce ostacoli e non si esaurisce mai. E questa misericordia cancella le nostre miserie”. La Vergine Maria, che invochiamo come “Madre di Misericordia”, accompagni il nostro cammino in questo Anno Santo perché la luce che dal cuore della Trinità splende sul volto di Cristo,(cf 2 Cor 4,6) illumini ogni cuore e ci abiliti ad “accogliere misericordia” e a “fare misericordia” sul paradigma dell’antica storia del buon Samaritano. Amen».
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