L’eredità di don Lorenzo Milani a cento anni dalla nascita

Cento anni fa nasceva don Lorenzo Milani, un educatore, un sacerdote, un profeta. Un uomo che nel piccolo paese di Barbiana, in provincia di Firenze, fondò una scuola per i ragazzi più poveri. Il primo incontro della sesta edizione di “Io sono pace”, organizzato lunedì 11 dicembre dall’Ufficio diocesano per il problemi sociali e il lavoro e dalla Caritas, è stato proprio dedicato a don Milani, una figura di cui la Chiesa ha riconosciuto pienamente la valenza pastorale ed evangelica solo dopo la sua morte e, ancor più nel 2017, con la celebre visita a Barbiana di Papa Francesco.

Per l’occasione, presso il Pontificio Seminario Regionale Pio XI, è stato invitato Paolo Landi, allievo di Barbiana, che ha raccontato la sua esperienza nella scuola di don Milani e alcuni aneddoti sul sacerdote. «Era una persona solare, con il quale si scherzava, – ha raccontato – ma estremamente rigorosa rispetto alla scuola. Non tollerava che perdessimo tempo, tutto il giorno studiavamo: 12 ore al giorno, 365 giorni l’anno. Io sono figlio di contadini e la scuola mi ha dato tantissimo, ho imparato le lingue e tutti gli insegnamenti di don Milani sono stati importantissimi per la mia vita e il lavoro che ho svolto. A Barbiana ho imparato che la scuola deve servire soprattutto a insegnare ai ragazzi a ragionare con la propria testa. Ogni giorno all’ora di pranzo don Milani parlava con un ragazzo per un’ora perché sosteneva che è importante che si instauri un rapporto di fiducia tra l’insegnante e gli studenti. Da lui ho imparato che davanti a un problema bisogna impegnarsi per rimuoverlo, imboccarsi le maniche, perché senza l’impegno personale non si cambia né il lavoro, né la scuola, la parrocchia e la società. Diceva che dobbiamo essere noi a cambiare il sistema e non aspettare che il sistema cambi noi e sosteneva che un cristiano di fronte alle cose rischiose se le ritiene giuste deve impegnarsi a realizzarle, non deve tirarsi indietro. Don Milani insegnava l’uso consapevole della parola che dà dignità all’uomo, seguita dalla testimonianza e dall’esempio. Per lui i ragazzi non erano secchi da riempire, ma fiammelle che la scuola doveva accendere». Il suo motto era “I care”, che significa “mi interessa, ho a cuore”. «Con questo motto – ha spiegato Paolo Landi – don Lorenzo invitava ognuno a chiedersi come poteva impegnarsi per migliorare la società, il lavoro, la parrocchia».

Paolo Landi ha anche raccontato tutta la storia di don Milani, dalla famiglia di origine «ricca dal punto di vista culturale ed economico» all’entrata in seminario a 20 anni, dalla scuola popolare di San Donato, stroncata dalla curia fiorentina, all’esilio di Barbiana. Se durante la sua vita fu incompreso dalla Chiesa che lo considerò una “campana stonata”, dal mondo della scuola e dallo Stato (fu anche processato per il reato di apologia e incitamento alla diserzione e alla disobbedienza civile), ora la situazione è completamente cambiata. Nel 2017 Papa Francesco si è recato in pellegrinaggio alla chiesa di Barbiana per pregare sulla tomba di don Milani, la scuola ha cambiato opinione e ci sono oggi moltissimi edifici scolastici intitolati al sacerdote, e nel maggio 2023 anche il presidente della Repubblica Mattarella ha visitato Barbiana.

All’incontro sono intervenuti anche Paolo Perucci, direttore dell’Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro, e Rita Scocchera, dirigente tecnico dell’Ufficio scolastico regionale, che ha portato i saluti del direttore generale Donatella D’Amico, e ha parlato dell’eredità di don Milani: «A 50 anni di distanza da don Milani, grazie allo sviluppo della scienza, sappiamo che i divari sociali si convertono in divari spesso irrecuperabili di sviluppo fisico, cognitivo ed emotivo. I divari generati dalla povertà educativa sono spesso intrattabili, si devono pertanto anticipare le esperienze che promuovono lo sviluppo attraverso l’arricchimento dell’ambiente. Quello di cui oggi dobbiamo occuparci è anticipare il più possibile gli interventi educativi per rendere più agevole la riduzione dei divari legati alla provenienza socio-culturale degli studenti».

«Celebrare i 100 anni dalla nascita di don Milani – ha sottolineato don Giovanni Varagona, direttore dell’ISSR – ricordando il suo testo “Lettera a una professoressa” è di un’attualità straordinaria. Anticipare gli interventi educativi per prevenire i divari è importante, ma colmare le diversità non basta se poi l’orizzonte è quello di educare ragazzi che vivono in competizione. Secondo don Milani c’è bisogno di una scuola di cooperazione, in cui non ci si fa la guerra, ma si studia insieme e ci si incoraggia».

Mons. Angelo Spina ha poi delineato alcuni tratti di don Milani che innanzitutto è stato un «convertito. Il giovane Milani, proveniente da una famiglia non credente, a un certo punto maturò una fede forte e invincibile ed entrò in seminario. Per lui fondamentale era la parola, come ha ricordato Papa Francesco a Barbiana nel 2017 quando disse: “Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole”». L’Arcivescovo ha poi parlato di don Milani educatore e sacerdote e, sottolineando l’importanza di insegnare con amore, ha ricordato alcune parole del Papa. Il Santo Padre disse agli educatori: “La vostra è una missione piena di ostacoli ma anche di gioie. Ma soprattutto è una missione. Una missione di amore, perché non si può insegnare senza amare e senza la consapevolezza che ciò che si dona è solo un diritto che si riconosce, quello di imparare”. Quando il Papa presentò don Milani ai sacerdoti della diocesi di Firenze disse: “A tutti voglio ricordare che la dimensione sacerdotale di don Lorenzo Milani è alla radice di tutto quanto sono andato rievocando finora di lui. La dimensione sacerdotale è la radice di tutto quello che ha fatto. Tutto nasce dal suo essere prete. Ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice ancora più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito. Il prete trasparente e duro come un diamante continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa”.

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