Il sarcofago di Gorgonio, custodito nel Museo diocesano di Ancona, potrebbe conservare una delle più antiche raffigurazioni del protomartire Santo Stefano. È quanto ha suggerito il prof. Umberto Utro, curatore del Reparto di Antichità cristiane dei Musei Vaticani e docente di “Letteratura patristica e iconografia paleocristiana” all’Istituto patristico Augustinianum, invitato dall’Arcidiocesi di Ancona-Osimo in occasione del Giubileo degli operatori dei beni culturali. Sabato 28 giugno, nella Cattedrale di San Ciriaco, il prof. Utro ha parlato del sarcofago di marmo che risale alla fine del IV secolo ed è in stile tardo romano. Colui che lo commissionò si chiamava Flavio Gorgonio. Era originario di Ancona, era stato amministratore dei beni privati dell’imperatore e infine Prefetto del Pretorio. Gorgonio era cristiano, infatti nella parte anteriore del sarcofago è scolpita la traditio legis, con Cristo al centro che simbolicamente consegna la nuova legge dell’amore agli apostoli. Ai piedi di Gesù si trovano i committenti: Gorgonio e la moglie, il sarcofago infatti era matrimoniale. Sul coperchio compare una delle prime scene della Natività con Maria, il Bambino, un pastore e i tre Magi, ma secondo un’interpretazione del prof. Utro il sarcofago conserva anche «una delle più antiche raffigurazioni del protomartire Santo Stefano, particolarmente venerato ad Ancona, città che custodisce la reliquia del sasso con cui fu lapidato».
Il professore dei Musei Vaticani ha spiegato che «una scena raffigura ai lati Mosè e Abramo. Al centro la figura intera di Gorgonio e accanto a lui un personaggio, nel quale si può riconoscere un santo al quale Gorgonio era devoto. Questo santo potrebbe essere Santo Stefano perché, quando alla fine del IV secolo il sarcofago fu realizzato, ad Ancona c’era una grande venerazione per il protomartire Stefano». Le vicende di Stefano sono infatti particolarmente legate ad Ancona, dove, secondo Sant’Agostino, molti miracoli furono attribuiti alla sua intercessione. La tradizione narra, infatti, che una pietra, rimbalzata dal gomito di Stefano durante la sua lapidazione a Gerusalemme, fu raccolta da un marinaio che, poco dopo, la portò ad Ancona, dove costruì una cappella in suo onore. Da ciò deriva l’edificazione della prima Cattedrale di Ancona, dedicata proprio al santo, protettore della città nei primi secoli. L’arrivo precoce del Cristianesimo sulla costa adriatica è testimoniato dalla presenza della reliquia del sasso, che è attualmente esposta nella cripta delle Lacrime della Cattedrale di San Ciriaco e conservata in un reliquiario databile al XV secolo.
Il prof. Utro ha spiegato che «accanto a questa figura che potrebbe essere santo Stefano è raffigurato un agnello, simbolo legato al sacrificio di Isacco e al sacrificio di Gesù Cristo, ma anche a Stefano perché Sant’Agostino in un suo discorso chiama Stefano “agnello” e Paolo “lupo”. Anche questo elemento potrebbe confermare che la figura rappresenta Stefano». Il prof. Utro ha anche illustrato altre scene rappresentate, «tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento ma anche dalla vita quotidiana, che seguono tutte il filo della fede nella salvezza cristiana» e ne ha spiegato i contenuti e i significati, tramite il confronto con altre opere d’arte di quel tempo, sparse tra Roma e altre chiese e musei, dalla Francia all’Italia, ma anche nelle stesse Marche. «In diverse scene è rappresentato Gorgonio – ha continuato – ad esempio nel momento in cui detta una legge a due suoi assistenti che la scrivono, ma poi lui si converte e abbraccia la legge di Cristo. Lui che era stato prefetto del pretorio e grande funzionario statale si fa piccolo ed è raffigurato ai piedi di Cristo». Il professore ha anche spiegato la scena del matrimonio, dove compaiono Gorgonio e la moglie, e altre scene tratte dalla Bibbia e dal Vangelo, tra cui quella della Natività.
Prima di entrare nel Museo e vedere il sarcofago, uno dei monumenti più preziosi dell’arte paleocristiana, Mons. Angelo Spina e don Luca Bottegoni, direttore dell’Ufficio dei Beni Culturali Ecclesiastici, hanno ringraziato il prof. Utro e hanno sottolineato che «il sarcofago di Gorgonio è un segno di vita e di speranza». «Questa giornata giubilare – ha detto don Luca – è un’occasione per lasciarci dire una parola di speranza e di vita attraverso un’opera custodita nel nostro Museo. Qualcuno può rimanere sconcertato dall’accostamento della parola “speranza” a quella di “sarcofago”. Come può un oggetto che parla della morte essere al tempo stesso un Vangelo di speranza? Innanzitutto in questo sarcofago cristiano il centro non è il committente-defunto, la sua storia e la sua gloria umana, ma un apparato iconografico riferibile a Cristo e alla vita eterna. La morte non è la fine, la risurrezione ci apre alla dimensione dell’eternità, alla vita che dura per sempre: questo è il traguardo a cui tendiamo nel nostro pellegrinaggio terreno. Ecco perché presentare questo sarcofago significa annunciare il Vangelo della vita e della speranza cristiana».
Anche Mons. Angelo Spina ha sottolineato che «il sarcofago ci parla di vita e di speranza. È raffigurata la Natività, ogni vita è speranza nel futuro. Speranza che non si ferma con la morte, perché la nostra vita è centrata su Gesù che è vivo e risorto. Cosa c’è dopo questa vita? Con Gesù al di là di questa soglia c’è la vita eterna, che consiste nella comunione piena con Dio, nella contemplazione e partecipazione del suo amore infinito. La nostra speranza non è basata solo su ciò che desideriamo, ma su Gesù che si è fatto uomo, ha vinto la morte ed è risorto. Il Signore è datore della vita, chiunque crede in Lui non muore». L’Arcivescovo ha quindi invitato i presenti a riflettere sulla propria fede: «Avete una fede viva? Siamo chiamati a credere, sperare e amare. Cristo Risorto è la nostra speranza che ci porta oltre la morte. L’amore è più forte della morte».
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