2016/03/24: Se non ti laverò, non avrai parte con me

Arcivescovo Edoardo Menichelli

Arcivescovo Edoardo Menichelli


ANNO SANTO DELLA MISERICORDIA
Messa in Coena Domini
(Is 61,1-3.6.8b-9;Sal115; Cor 1.5-8;Lc4,16-21)
CATTEDRALE SAN CIRIACO
Giovedi’ 24 Marzo 2016
Carissimi le didascalie liturgiche ci aiutano a comprendere il senso di questa celebrazione vespertina ed indicano tre elementi dei quali facciamo memoria vivente.
Facciamo memoria del dono di Cristo, di se stesso, della Eucarestia questo rendimento di grazie di Gesù al Padre e di questo dono di se stesso all’umanità.
Facciamo memoria del sacerdozio ministeriale, anche se più direttamente tutto questo la Chiesa ce lo fa ricordare nella Messa del mattino di questo giorno, la cosiddetta ‘Messa crismale’.
C’è un terzo elemento, quello che da un certo punto di vista ci appare spesso ‘coreografico’, di scarso significato per noi e che va sotto la terminologia della lavanda dei piedi.
Come conclusione di questi tre elementi che avvengono nel Cenacolo, questa celebrazione diviene anche preludio di ciò che avvenne dopo; gli evangelisti ci dicono che terminata la cena Gesù si avviò verso il luogo della preghiera.
Entra nel luogo degli ulivi, questo è un tempo di preghiera dentro il quale ognuno di noi è invitato a mettere tutto ciò, cercando carissimi non di capirlo, chi mai di noi capirà l’Eucarestia? Chi mai di noi, anche sacerdoti, riuscirà a penetrare profondamente questo essere ‘scelti’? Chi di noi capirà mai non tanto il gesto del ‘lavare i piedi’ (di per se stesso è un gesto eloquente), ma di quello che Gesù ci mette dentro? A Pietro che recalcitrava questo gesto di Gesù, Gesù dice: “se non ti laverò, non avrai parte con me”, cioè non riuscirai mai a capire che cosa di nuovo io ho portato nella storia degli uomini, che cosa di particolare ho insegnato a te e a tutti quelli che come te, in questo tempo, ti sono venuti dietro.
Se non capirai questo, non lo capiranno nemmeno coloro che dopo di voi, saranno i seguaci del Signore Gesù, e non riuscendo a capire il gesto che ha fatto Gesù, queste persone saranno incapaci di accogliere e capire me.
Mi hanno insegnato da tanto tempo che di fronte a queste grandezze, che sono racchiuse nel cenacolo, più che di parole hanno bisogno di contemplazione, hanno bisogno di interiorizzazione.
Tuttavia mi permetto di offrire a me e a voi qualche breve suggerimento.
Questo desiderio profondo di Gesù di consumare per la Pasqua, perché era la Pasqua della sua ora, pur sapendo di doversi allontanare dai suoi, inventa questo modo nuovo, misterioso, di farsi cibo e di farsi bevanda.
Gesù passa dal dialogo affettuoso con i suoi dodici, che peraltro non avevano capito tutto di lui, ad un altro tipo di dialogo, più intimo, più connettivo per una unione più profonda con i suoi discepoli e usa questa parola per noi molto abituale: mangiare e bere di lui.
Allora, carissimi, al di là della comprensione teologica, c’è questo mistero che ripeto risulta difficile per tutti, facciamo tuttavia questo passo interiore, riconoscere nell’Eucarestia l’unico modo, il modo indispensabile per essere uniti a Cristo.
Non basta avere la fede, non basta nemmeno compiere le sue opere, credo che Gesù voglia insegnarci che per fare le cose sue, bisogna possedere lui.
La domanda che mi faccio per primo, la rivolgo a tutti voi: com’è questo nostro mangiare e bere di Cristo? Più semplicemente in questo gesto ripetuto tante volte, quale grado di comunione c’è tra me e Cristo? La presenza di Cristo e l’interiorizzazione di Cristo cambiano la nostra vita e se noi da un personale esame vediamo che non siamo modificati da tempo, il problema non è di Gesù, ma nostro. Il primo suggerimento che dò a me stesso e a tutti voi è fare una verifica di che cosa vuol dire per me l’espressione: “fare la comunione”, “mangiare e bere di lui”.
Io non vorrei che passasse sul versante spirituale, il diffuso disamore dell’amore di questo tempo che viviamo.
Secondo suggerimento: pregate per i sacerdoti e pregate per me.
Tutti vogliono un prete, e non ce ne sono più, e tutti vorrebbero un prete che celebri la Messa e confessi.
Se il sacerdote è la figura di Cristo, voi non dovete preoccuparvi di avere nella piccola parrocchia il vostro ‘pretino’, ma dovete preoccuparvi perché quel prete che avete, anziano o giovane che sia, possa essere santo, cioè abbia in sé la presenza viva di Cristo che lo aiuti a modificare se stesso e che attragga a Cristo.
La nostra diocesi che ha 74 parrocchie, ha 5 seminaristi, distribuiti in sei anni, quale sarà il futuro di questa Chiesa diocesana e di altre Chiese marchigiane?
Quando eravamo noi in seminario, nelle Marche, nell’arco di circa 7 anni, ce n’erano 300 (220 presso il Seminario regionale di Fano, gli altri 80 distribuiti fra i seminari di Senigallia, Camerino, Macerata, Fermo).
Che cos’è che è cambiato? Dio non chiama più? Oppure non è piuttosto la comunità cristiana che si serve dei sacerdoti come una sorta di ‘bottegaio’ che ‘serve’ la messa, i sacramenti e poi …?
Il sacerdote è colui che Gesù Cristo ha scelto per essere padre di quella comunità.
Pregate quindi per i sacerdoti che abbiamo, per questi seminaristi che possano continuare e che si costruiscano sull’idea di preti di Gesù Cristo; ricordatelo bene Gesù non ha creato un uomo perfetto per poi consacrarlo prete, il problema, da comprendere fino in fondo, è che “tu sei stato preso per …”
Carissimi, pregate per me, per i sacerdoti e per questi seminaristi!
Non so se avete figlioli o nipoti, ma quando ero Vescovo a Chieti facevo invocare questa preghiera: “ Signore manda nuove vocazioni alla tua Chiesa e se ti va prendi me!” oppure “Se ti va Signore prendi uno a casa mia.”
Quando pregate per i sacerdoti, pregate in ginocchio perché il pregare divenga una grande implorazione.
L’ultimo pensiero: la lavanda dei piedi.
Il gesto di Gesù non è il gesto del sacerdote, ma della comunità cristiana; che cosa voleva dire allora “lavare i piedi”? Il gesto veniva fatto dalla servitù che poi dovevano ungere e profumare i piedi; Gesù rovescia questo gesto, non per fare una scena, ma per educarci al servizio, perché in quella dimensione conta il servire.
Siamo in una società dove contano la supremazia e la meritocrazia, tutti devono fare qualcosa per me, ma non si sa mai quando io debbo fare qualcosa per gli altri.
Chiediamo al Signore di renderci servi, per superare la malattia del soggettivismo esasperato, del fatto che ogni desiderio che si ha in testa deve essere un diritto da esaudire.
Vi prego impariamo a lavarci i piedi, impariamo questo orientamento che riassumo così: ‘vince chi perde.’ E’ una frase che non piace a nessuno, ma se vogliamo essere di Cristo dobbiamo farcela piacere; a questo proposito mia nonna, quando dicevamo questa frase, rispondeva: “Adesso capisco perché Gesù Cristo ha pochi amici!” e non aveva studiato teologia, donna di casa.
A voi che state crescendo ed educando qualche figlio o nipote in casa, parlategli in questi giorni dell’ ’ultima cena’, ditegli che cosa è successo, aiutateli a comprendere, perché è come se avessimo segato delle generazioni da altre generazioni; non c’è più nessuno che racconta, che ‘perde’ il tempo per trasmettere la Parola e qui gli ebrei ci insegnano molto, perché quando celebrano la Pasqua rileggono l’Esodo, il passaggio, la liberazione.
Vi prego riconquistiamo il mondo con la tenerezza del servizio, perché carissimi veramente ‘vince chi perde!’
†  Edoardo Arcivescovo
(Il testo dell’omelia è stato trascritto direttamente dalla registrazione, senza revisioni da parte dell’autore).