Incontro del Clero in cattedrale

Incontro del Clero in cattedrale

Si è tenuto nella cattedrale di San Ciriaco l’incontro del Clero in preparazione al Natale. L’Arcivescovo ha ricordato i sacerdoti anziani e con problemi di salute. Ha comunicato che sono stati incardinati in diocesi: don Piergiorgio Agostini e don Gaetano Sullit. Domenica 20 dicembre il seminarista don Davide Baiocco farà l’ammissione agli ordini sacri nella parrocchia di S. Giuseppe Moscati in Ancona. Per le messe della notte di Natale ogni sacerdote può stabilire l’orario più opportuno  facendo in modo che i fedeli per le ore 22.00 possano rientrare a casa. Ha comunicato la situazione dei lavori del nuovo centro pastorale e della casa sacerdotale e del futuro della chiesa di Palombella chiusa a causa della  frana del 1982. Ha ricordato che sono a disposizione delle parrocchie le taniche igienizzanti e le mascherine. Al termine dell’incontro ha donato ai sacerdoti un volume con 100 omelie di Benedetto XVI e il commento ai Vangeli in TV.

L’incontro è iniziato con l’esposizione del Santissimo Sacramento, con la celebrazione dell’ora media, la meditazione dell’Arcivescovo, un tempo per le confessioni, la benedizione Eucaristica e lo scambio degli auguri natalizi.

Di seguito viene riportata la riflessione dell’Arcivescovo:

“Andiamo a Betlemme”

Quando la pandemia blocca le strade, i sentieri della vita, i contatti con le persone, quando crea smarrimento, ansia e dubbi, dove andare? Per il Natale che viene, andiamo a Betlemme, dove Dio è nato e nasce ancora. Andiamo dove il Dio che nasce porta una umanità nuova: l’umanità che ha come fondamento supremo il comandamento dell’amore, che sorride alla vita, perdona le offese, spezza il pane con l’affamato, che si prende cura di ogni persona.

Non è un cammino facile. La via di Betlemme è ostruita da tanti detriti che sfigurano la nostra umanità. Li conosciamo bene sono l’orgoglio, la vanità, l’egoismo, l’indifferenza, le violenze. Ci sono  anche i segni di una sorta di inaridimento degli animi, un lasciarsi travolgere dal diluvio di aggiornamenti, di fatti di cronaca, di rivelazioni scandalose, di strategie del malumore, di logoranti battibecchi.

Tante persone oggi non riescono ad arrivare a Betlemme per fare rifornimento di speranza e di pace,  perché le strade della loro vita sono  contorte e intasate da tutt’altro.

Il Natale  è minacciato da un falso Natale, che invade e narcotizza, quello degli affannosi consumi, quello di Babbo Natale che porta i regali, delle scintillanti luminarie che riempiono le vie e le vetrine, fare cenoni e prenotare un lussuoso albergo di rinomata stazione sciistica.

Si tenta di cancellare il vero Natale come alcune insegnati hanno pensato di fare, togliendo il nome “Gesù” da una canzone di Natale sostituendolo con la parola “virtù”, o di chi ha pensato di sostituire la storia vera del Natale di Gesù con la favola di Cappuccetto Rosso, mettendo sullo stesso piano la vera storia e la favola.

La strada per Betlemme diventa sempre più difficile da percorrere, bisogna ripulirla. Bisogna, in un certo senso fare qualcosa di più: bisogna che noi cristiani diventiamo la strada che conduce a Betlemme. Bisogna che ognuno di noi mandi il profumo della povertà lieta e benedetta, il profumo della semplicità senza orpelli e senza maschere, il profumo dell’ospitalità che non si apre ai personaggi ma alle persone, il profumo della gioia che non  ha bisogno di sbornie ma di ebrezza suscitata dalla sorpresa del Natale.

Perché andare a Betlemme? Cosa è accaduto in quel piccolo grappolo di case? E’ accaduto l’indicibile. Duemila  anni fa, Dio ha fatto un passo decisivo e irreversibile verso di noi.

Dio, l’Onnipotente, il Creatore della terra, del sole, il Creatore delle galassie e dell’universo, il Creatore dell’uomo  e della donna, dell’atomo e di tutto, questo Dio ha varcato la soglia dell’abisso dell’infinito e si è fatto vicino a noi, si è fatto uomo.

Dio ha lasciato che il Suo Figlio stesso in qualche modo uscisse dall’abbraccio divino ed entrasse nella nostra storia pericolosa, infida, inospitale. L’evangelista Giovanni nel prologo del Vangelo lo sottolinea con forza e lo incide nel nostro cuore con una espressione inequivocabile: <<E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi>> (Gv 1,14) e l’apostolo Paolo annota: <<Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna>> (Gl4,4) tutto questo nella “pienezza del tempo”, cioè nel momento nel quale Dio non ha potuto più resistere ed è esploso in un gesto d’amore. Gesù che nasce a Betlemme è un dono d’amore. Il Natale è la festa dell’amore puro e gratuito, immeritato. Il Natale è la più bella notizia che si possa raccontare agli uomini. Dio Padre non ha avuto paura: ha gettato il Figlio suo in mezzo a noi perché ci ama, perché vuole ridarci il cuore di figli.

A Betlemme in quella notte santa si è aperta la porta della gioia. La porta del cuore di Dio si è resa accessibile, avvicinabile in un  Bambino nato per noi, perché noi non avessimo paura di Dio, perché non avessimo più timore di Dio, perché non lo sentissimo più come distante, ma lo sentissimo vivo, vicino per amore.

In quella notte santa <<Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo>> (Lc 2,7). Tra i tanti spazi, Dio sceglie il più povero per nascere, non c’era posto per lui nell’albergo, nasce nella estrema povertà, in una stalla e deposto in una mangiatoia (praesepium). Perché? Perché Dio ama la povertà: la povertà è il suo clima, il suo stile, il suo respiro. Perché Dio è povero? Dio è povero, perché Dio è Amore! Questa scelta di Dio non è una riduzione della sua onnipotenza. La povertà è la vera grandezza di Dio. Dio è povero, perché Dio non può tenere nulla per sé, tutto dona: così esige l’Amore.

A Betlemme Dio sceglie l’umiltà, sceglie l’ultimo posto: è la sua risposta all’orgoglio dell’uomo. L’orgoglio, infatti, non è la soluzione dei problemi dell’uomo, bensì è la fonte dei problemi e dell’infelicità.

A Betlemme Dio sceglie la povertà. La povertà che Gesù ci propone non è un rifiuto del denaro, ma una libertà di fronte al denaro, affinchè non diventi un idolo al posto di Dio. E’ saperne fare un uso per amare i fratelli e non lasciarsi imprigionare in un abuso. Poveri è sentirsi liberi dentro e non comandati e resi schiavi dalle cose che si possiedono.

A Betlemme Dio sceglie la mitezza: è la sua risposta alla nostra violenza e alla nostra intolleranza. La violenza non è la soluzione dei problemi dell’uomo. Purtroppo molti si sentono sicuri soltanto quando dominano, colpiscono e schiacciano il prossimo. La violenza è soltanto una maschera, che nasconde una abissale debolezza. Il vero forte è paziente, il vero forte è mite: e la pazienza e la mitezza sono la forza che sconfigge la violenza

A Betlemme Dio porta la pace, quella cantata dagli angeli. La pace  viene dopo aver fatto brillare la luce della povertà, dell’umiltà. Dio parla di pace. Dio dice che la pace è frutto di una conversione del cuore all’umiltà e alla povertà. Finchè il cuore degli uomini sarà pieno di orgoglio, non avremo pace. Finchè la ricerca delle ricchezze avvelenerà l’esistenza degli uomini con l’illusione di una felicità fatta di cose non avremo la pace.

Andiamo allora a Betlemme. La verità del Natale ha un fascino, una giovinezza, una sorprendente attualità.

Abbiamo disperatamente bisogno di Betlemme: perché se a Betlemme non ci fosse Dio, il mondo sarebbe soltanto una stalla e noi saremmo gente senza una meta e senza una speranza.

E’ necessario andare a Betlemme perché c’è una “emergenza spirituale”, per non rinunciare alla speranza. Per non lasciare la terra incolta ma a predisporla per la semina. L’emergenza spirituale non ci porta a rinunciare, ma a farci avanti tutti insieme. Ci ha ricordato Papa Francesco nella Enciclica Fratelli tutti:<< Il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia. Mentre occorre ricordare che “siamo tutti sulla stessa barca”, “siamo tutti fratelli”>>.

Con tutto il cuore rivolgo un particolare elogio a tutti voi, cari sacerdoti, diaconi, religiosi, vi ringrazio e incoraggio perché in questo tempo di pandemia nessuno è scappato via, ma siete rimasti ai vostri posti, ognuno con dedizione, in prima fila, per mandare avanti le parrocchie, le nostre comunità, la nostra bella e amata diocesi facendo ognuno la sua parte. Questo ha permesso, con tutti i limiti che non possono venire nascosti,  di non arrendersi, di  non fermarsi.  La vita ha potuto continuare perché la solidarietà si è rivelata più normale e abituale dell’egoismo, il senso del dovere si è rivelato più convincente del capriccio, la compassione si è rivelata più profondamente radicata dell’indifferenza, Dio si è rivelato più vero dell’“io”, la famiglia, prima cellula della società,  ha giocato in questo un ruolo fondamentale.

Il mettersi ad ascoltare l’altro, caratteristico di un incontro umano, è un paradigma di un  atteggiamento accogliente, di chi supera il ripiegamento su se stesso e accoglie l’altro, gli presta attenzione, gli fa spazio nella propria cerchia. Quando l’attenzione si pone sui volti delle persone allora si cammina nella direzione giusta. Il vivere civile non si aggiusta solo perché ci sono i regolamenti o i procedimenti, ma perché ciascuno ci mette del suo guardando il volto dell’altro con umiltà, speranza e alleanza. Questo ha fatto Dio con noi venendo nel suo Natale.

La strada di Betlemme è la strada della povertà, perché è la strada del dono: Dio si dona a noi, Dio è dono di sé, Dio è altruismo infinito! Allora soltanto nel dono di sé, soltanto nell’altruismo saremo felici perché potremo incontrare Dio, percorrendo la strada che conduce a Betlemme.

Dobbiamo farci più poveri: quel che abbiamo ci è stato dato perché diventi dono, quel che abbiamo ci è stato dato perché diventi carità. Se lo teniamo nelle nostre tasche diventa un peso, se lo teniamo nelle nostre tasche diventa un macigno. Tutto ci è stato donato perché diventi dono, perché diventi amore.

Dio è amore! Ma se Dio è amore, è dono; se Dio è dono, Dio è povero perché dona tutto; ma se Dio è povero è anche umile. E’ il messaggio del Natale, il messaggio che illumina la notte del mondo orgoglioso e avido.

E’ Natale, se ogni mattina, alzandoci ringraziamo il buon Dio che si è fatto a noi vicino,  e senza sbuffare, senza lamentarci, ci mettiamo all’opera dicendo: tocca a me, tocca a noi far crescere le nostre comunità.

Il Bambino di Betlemme, nascendo povero e umile, questo ci insegna e  porta a tutti l’amore di Dio che,  in questa emergenza pandemica e spirituale che stimo vivendo, è essenziale e necessario.

Andiamo anche quest’anno a Betlemme e nel nostro tempo segnato da tanta sofferenza e disorientamento, troveremo la luce vera che illumina ogni uomo, accogliamo Cristo, il Verbo fatto carne. Se hai un po’ di orgoglio buttalo via e sarai tanto felice. Se hai un po’ di egoismo mettilo sotto i piedi; sperimenterai la gioia dell’amore che è esperienza di Dio. Provate ad accogliere il Dio Bambino, provate ad uscire dall’orgoglio e dall’egoismo e sentirete il canto degli angeli e proverete la gioia di Maria, di Giuseppe, dei pastori, dei magi, di quanti si sono recati a Betlemme e hanno ripreso il cammino nella notte con gioia e speranza. E’ il Natale vero, quello di Betlemme, il Natale cristiano. Buon Natale cari sacerdoti, diaconi, religiosi!”.