2015/11/15: Negli schiaffi d'amore di Dio riconoscere che e' tempo di speranza, di carita' e di misericordia

Arcivescovo Edoardo Menichelli

Arcivescovo Edoardo Menichelli


XXXIII Domenica del tempo ordinario – Festa del Beato Gabriele FERRETTI Compatrono di Ancona
( Dn12, 1-3; Sal. 15;Eb.10,11-14.18; Mt 13,24 -32 )
Parr. S. Giovanni Battista ANCONA
La mia gratitudine a Don Carlo e a tutta la comunità per questo invito a condividere con voi la memoria liturgica e santa del Beato Gabriele compatrono della storia di questa nostra città.
Celebrando questa Eucarestia elevo a Dio, per questa comunità e la città, le preghiere perché sia una città custodita libera, perché sia una comunità cristiana fedele al Vangelo.
Potete comprendere che questa è una giornata particolare e noi dobbiamo celebrarla nello spirito del Vangelo e della Parola di Dio che ci è stata offerta e che sembra anche significativa e quasi adatta per la giornata che viviamo e anche per quanto qualche giorno fa è successo in questa città.
Siamo al termine dell’anno liturgico, fra pochi giorni celebreremo l’ultima domenica, per poi ricominciare un nuovo anno.
Nel suo pensiero educativo la Chiesa queste ultime domeniche le ha riservate, da sempre, per una singolare meditazione, quella che i teologi con una parola solenne chiamano gli ultimi giorni oppure i giorni finali.
Tutto ciò unito all’altra faccia dei giorni finali che è quella di vedere Dio.
Rileggendo questa parola del Signore che ci è stata offerta, non mi è tornato difficile fare questo accostamento tra quello che in questi giorni patiamo e quello che la parola di Dio ci dice.
Abbiamo ascoltato dal profeta Daniele “Sarà un tempo di angoscia” (Dn. 12,2) e dall’altra parte dal Vangelo ci è stato detto che ci sarà un tempo di convocazione misteriosa, tutto ciò allora dobbiamo comprenderlo.
Noi carissimi, ci piaccia o no, stiamo vivendo la fase ultima della salvezza, il tempo umano è un tempo dentro il quale la salvezza di Dio si è inserita, dopo di questo tempo non c’è n’è altro per salvarsi, dopo c’è l’incontro con Dio, con il Dio della misericordia, della giustizia e della verità.
Tutto il nostro tempo tutta la vita umana, quando ci prendiamo questi schiaffi d’amore storici, forse ce n’è accorgiamo, è dentro il tempo dell’angoscia, perché siamo, come dice l’apostolo Paolo, dentro il tempo del partorire.
Il tempo umano, per ogni persona e per l’umanità, è il tempo del travaglio, non perché ci sia solo la sofferenza o la morte, ma perché tutto diventa un lavorio costante per capire, per oltrepassare, per essere pronti alla grande convocazione.
Quello che di tempo in tempo, noi che facciamo la storia, fabbrichiamo, diventa una grande grazia per comprendere, per capire, diventa un grande atto di amore di Dio, un’ulteriore tenerezza, un fatto educativo.
Prima l’ho chiamato lo schiaffo d’amore, noi siamo dentro questo tempo e non c’è una giornata tranquilla per l’umano, è tutta la giornata di cammino, di ricerca, in attesa di questa convocazione che ci porrà tutti di fronte al mistero di Dio.
Chi è pronto per l’incontro con Dio?
Credo che qui ci aiuti la storia spirituale, umana e santa del Beato Gabriele, ma ci aiutano fondamentalmente: la speranza, la carità e la misericordia.
Carissimi non abbiamo, per questo crepuscolo dell’umanità, che queste medicine: la speranza, la carità, la misericordia e non sono medicine in contrasto o medicine isolabili, sono le medicine sostanziali sorrette dalla fede.
Noi siamo più sensibili a capire lo schiaffo che non l’amore, quando è che noi scombussoliamo tutto questo?
Quando l’umanità prende, a livello personale o di storia, una strada autonomistica non libera, quando l’umanità oltrepassa la barriera che da dignità e senso al suo essere uomo, e si trova fuori, si perde, questo va sotto il nome di onnipotenza, prepotenza, odio, morte.
La morte non l’ha fabbricata Dio, ma l’umanità che ha voluto oltrepassare il limite e tutte le volte che l’umanità oltrepassa il limite si perde in tutto.
Peggio ancora, è che qualche volta l’umanità prende a prestito Dio, usando Dio mescolandolo nella sua prepotenza; il Dio che si è fatto da onnipotente, semplice, piccolo, viene rubato dall’uomo e messo dentro una storia di onnipotenza irriverente e, come Papa Francesco ha detto, queste non son più cose umane e voglio dire a tutti voi che quando le nostre cose umane non sono più tali, noi scendiamo di livello divenendo animali, perdendo la nostra identità, la nostra libertà perché crediamo nell’autonomia, perdendo l’amore perché si diventa pieni di odio, perdendo il senso della comunità perché ci facciamo prepotenti.
E’ fondamentale che si comprenda questo.
E’ necessario quindi, sulla testimonianza di questo nostro Beato, riprendere in mano la speranza, terminiamo il lamento, la storia dipende da noi.
Dio non oltrepassa mai la nostra libertà, non ci priva di quello che ci ha donato, ci invita a metterlo in atto.
Allora se l’umanità comprendesse questo, la sua storia sarebbe quello che la Parola di Dio dice: un Regno di beatitudine.
A me pare importante che quello che è avvenuto, come storia dell’umanità, e quello che è avvenuto come storia di questa città e di questa diocesi, non è occasione per discernere, per chiacchierare, per trovare posizioni diverse, non è questo; quando all’umano escono le lacrime, è necessario capire che lì c’è una sofferenza e la sofferenza diventa invito alla saggezza e alla conversione.
Su questo punto vorrei che ciascuno di noi avesse la forza spirituale di oltrepassare il “fastidio” di questo momento e di riconsegnare la propria vita a Dio.
Dio è l’unico che non dà mai fastidio, Dio è l’unico che non interrompe la nostra libertà, vorrei che questo lo capissimo e lo facessimo capire alle nuove generazioni, nei confronti delle quali noi adulti abbiamo dato testimonianza contraria.
Questo è il grande pentimento che dobbiamo mettere in atto! Questa è la conversione!
Parliamo di comunità, umanità, ma contemporaneamente mettiamo in prima fila l’appartenenza, la nazione.
Certamente nessuno toglie ad una nazione la sua storia, ma quella nazione è dentro un’umanità che ha tutta la sua stessa storia che nasce, vive, cresce, muore, riceve un premio e lascia tutto…
Lo strapotere degli onnipotenti umani scompare, diventa solo un libro di storia, a volte un “fastidio” per noi che dobbiamo studiarla.
Dobbiamo invece entrare in un cammino, dove al centro c’è un popolo di figli e perché figli, fratelli.
Riusciremo mai a comprendere questo?
Ieri nella Santa Messa che noi Vescovi abbiamo celebrato c’era una frase alla fine del brano del Vangelo: “Ma il Figlio dell’Uomo quando tornerà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8)
Questa di Gesù non è una minaccia, perché è l’unico nel cuore dell’uomo.
Un altro esempio: leggendo con amore e con sofferenza di pastore, ciò che per la città è divenuto quasi un prurito di lettura, a queste nuove generazioni che crescono dobbiamo educarle alla giustizia, alla fedeltà ma se, in famiglia, sono i genitori a non perseguirle che cosa possiamo attenderci, i ragazzi non capiranno nulla cresceranno nella stupidità della autonomia!
Facciamo capire alle nuove generazioni che la vita non è farsi un selfie e farlo vedere per farsi vedere come ci si bacia, la vita è un’altra cosa: la vita è un dono, che accolgo, che debbo custodire, che debbo impegnare nel bene e che devo restituire come un dono fruttificato.
Figlioli cari, Vi prego, non pensate che la fede sia del cielo, la nostra vita deve diventare una vita sposata con la fede che celebra nella fede la carità, e dentro la carità si proietta per la speranza, oltre il crepuscolo che ci attende.
Dobbiamo essere adulti nella fede che non è la devozione, perché in giro c’è molta devozione e poca fede, la fede, carissimi, è prendere questo Vangelo, che è strepitoso, e viverlo!
Liberiamoci da questo costume sociale che ci distingue dall’essere credente, laico, noi siamo prima di tutto, uomini e donne, siamo persone che camminano assieme, non si può far finta che il vicino non ci sia ed è tuo fratello.
Al tempo di Caino e Abele, Dio disse a Caino: “Dov’è tuo fratello?” (Gn 4,9)quell’interrogativo esiste anche oggi, ecco la testimonianza del beato Gabriele e la sua carità fraterna e siccome siamo tutti peccatori ecco l’altra medicina: la misericordia.
Fra poco apriremo l’Anno Santo, dobbiamo prenderlo e viverlo come una forma di speranza forte di cui abbiamo bisogno per risanare la nostra vita e non per verniciarla!
La medicina della misericordia deve essere usata anche per questa nostra città, segnata da questo dolore sul quale dobbiamo inginocchiarci piangere, pregare e convertirsi; in nome di un amore si distrugge l’amore. Non si è capito prima che l’amore non è passione, l’amore è carità, l’amore fa bene a tutti, se l’amore disturba non è amore.
Adesso come è la vita di questi nostri due figlioli che fanno parte di questa società?
Che facciamo noi, apriamo e giriamo le pagine del giornale e poi? Poi tutto è finito e aspettiamo un’altra storia?
Termino questa riflessione con le parole del profeta Daniele: “I saggi risplenderanno  come lo splendore del firmamento come coloro che avranno indotto molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle per sempre.” (Dn 12,3)
Questo non è un nostro sogno, questo è il sogno promesso di Dio.
Il Beato Gabriele ci aiuti, saluto le autorità che sono qui e soprattutto i discendenti del Beato, ai quali invito a farsi custodi di questa memoria e a seguire le vie della santità.
Amen!
†  Edoardo Arcivescovo
(Il testo dell’omelia è stato trascritto direttamente dalla registrazione, senza revisioni da parte dell’autore).